Marine Le Pen ha ragione, ma se l’è cercata…

Marine Le Pen ha ragione, ma se l’è cercata…

Ieri il Rassemblement National è sceso in piazza a Parigi per contestare l’esclusione di Marine Le Pen dalle elezioni a causa della condanna comminatagli in primo grado per appropriazione indebita di fondi pubblici europei. Una decisione illiberale secondo la destra francese. Tesi sostenuta da un po’ tutti i leader sovranisti globali. La tesi è fondata. Secondo una logica liberale, infatti, in uno Stato di diritto vige la presunzione di innocenza, sicché fino al terzo grado di giudizio non dovrebbe essere possibile coartare i diritti elettorali attivi e passivi di alcuno.

Si dà, però, il caso che chi oggi si indigna fino a ieri sia stato in prima fila nell’invocare “pene esemplari” per il ceto politico. Non risulta, infatti, che Marine Le Pen o altri esponenti del suo partito siano scesi in piazza per tutelare i diritti dei presidenti della Repubblica francese Sarkozy, Chirac e Macron o dei capi del governo Fillon e Juppé o dei ministri Cahuzac, Carignon e Delevoye quando la pubblica accusa (che, ma guarda il paradosso, in Francia e soggetta all’esecutivo) li ha incriminati. Risulta invece che in una trasmissione televisiva del 2013 Marine Le Pen abbia invocato l’“ineleggibilità a vita” per i politici colpevoli di “corruzione e frode fiscale”, ma anche di “appropriazione indebita e di occupazione fittizia”. E risulta che quando, nel 2016, il parlamento francese discusse ed approvò la legge Sapin 2, grazie alla quale oggi Le Pen è stata dichiarata ineleggibile, il Front National fosse in prima fila nel reclamare norme ancor più restrittive.

La legge Sapin 2 non prevede automatismi dopo il primo grado di giudizio, ma lascia alla magistratura il potere di decidere autonomamente. Nel caso di Marine Le Pen, i magistrati francesi hanno deciso di non attendere né il secondo né terzo grado di giudizio e di dichiararla subito ineleggibile. Una forzatura, certo, e forse anche una scelta politicamente orientata. Ma si tratta di una forzatura e di una scelta perfettamente coerenti con lo spirito della legge in questione e con il tenore del dibattito pubblico dal quale quella legge scaturì. Il dibattito pubblico, e il conseguente spirito della legge, furono infatti ispirati ai canoni classici di quello che viene comunemente definito “populismo penale”. Ovvero, quella strategia politica post giacobina che molto spesso incoraggia i partiti nuovi e/o antisistema a denunciare la corruzione endemica dell’establishment esibendo “mani” presunte “pulite” e invocando nuove fattispecie penali, oltre che l’abrogazione di vecchie guarentigie costituzionali.

Caso di scuola, in Italia, è il Movimento 5stelle. Ma alla stessa tipologia appartengono il cappio esibito dalla Lega nell’aula di Montecitorio, le monetine lanciate dai giovani di destra e di sinistra contro Craxi davanti all’hotel Raphael, il Salvini del “mettiamoli dentro e buttiamo la chiave”, la Meloni che nel 2022 sceglie di non sostenere il referendum sull’abolizione della legge Severino e sui limiti alla custodia cautelare…

Dopo aver lungamente indugiato sul fatto che Marine Le Pen è in realtà causa del proprio male, nei giorni scorsi Giuliano Ferrara ha così concluso un suo bel commento sul Foglio: “Una volta Berlusconi in un suo discorso celebre e criticatissimo, che ricordo molto bene, disse che aveva il diritto di essere giudicato in prima istanza dai suoi “pari”. Lo accusarono di volere un privilegio di casta. Invece richiamava il principio, sancito nella Costituzione italiana da fior di delinquenti come Moro, Nenni, Togliatti, De Gasperi, Calamandrei e molti altri, dell’immunità parlamentare, principio travolto dall’ondata giustizialista dei primi anni Novanta. Si deve distinguere tra eletti e cittadini comuni, è l’unica distinzione giurisdizionale lecita in una democrazia liberale. In caso contrario il rischio è che i tribunali taglino la testa al popolo (caso Le Pen) o che il popolo tagli la testa ai tribunali (caso Trump)”. Ferrara sembra auspicare che, essendo ormai giunti al governo, i campioni del populismo penale abbiano il coraggio di ripristinare le garanzie che i padri costituenti vollero riconoscere al ceto politico, a partire dall’immunità parlamentare. Se davvero lo pensa, purtroppo si illude.

HuffingtonPost

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