A una cena il padrone di casa mi saluta con i gomiti sguainati, poi se ne vergogna come di un gesto di sfiducia e mi getta le braccia al collo, depositando sulle guance, per sovrapprezzo, un paio di baci. Prima dell’estate, giuro di avere visto lo stesso individuo aggirarsi sospettoso e quasi maniacale per le strade, con una visiera da spaventapasseri strabico sopra la mascherina, in un anticipo di quel look alieno con cui tante maestre innocenti si accingono ad accogliere i bambini all’ingresso degli asili.
Ecco, mentre nei ruoli istituzionali viene ancora richiesta un’applicazione rigorosa delle regole, la pancia del Paese sta collassando di brutto e forse è arrivato il momento di indagarne le ragioni, dato che il conto di questo atteggiamento irresponsabile rischiamo di pagarlo tutti, e minaccia di essere pure salato.
Potremmo cavarcela con un’affermazione lapidaria: nonostante abbia visitato anche vasti settori della tribuna vip, il virus di settembre fa meno paura di quello di marzo e la paura, purtroppo assai più del buonsenso, è la principale fonte di ispirazione dei comportamenti umani. Dateci il tempo di tornare nelle stanze chiuse dell’autunno, dove le famigerate «droplets» avranno meno possibilità di volare lontano dai nostri polmoni, e vedrete che la crescita della curva dei contagi farà di nuovo impennare l’attenzione di tutti. In realtà le cose sono meno semplici di così.
Sgombriamo subito il campo dai casi clinici: i catastrofisti che paragonano il Covid alla peste medievale e i negazionisti che lo retrocedono a raffreddore manipolato da oscure forze massoniche.
Il Covid, come disse una volta Ilaria Capua, è molto contagioso e però spesso molto superficiale: più che a un’influenza, assomiglia a un influencer. Non va preso sottogamba, perché ha provocato lutti e sofferenze, ma non è neppure un fungo atomico o un castigo di Dio che giustifichi una nuova messa agli arresti domiciliari dell’umanità intera fino al suo completo debellamento. Questa sua natura non estremistica e totalizzante, ma anzi variabile e dosabile a seconda delle circostanze, lo rende purtroppo assai poco adatto alla comunicazione moderna, che detesta le sfumature e procede per interruttori (on/off, dentro/fuori, viva/abbasso) invece che per manopole.
Inoltre, la cosiddetta «narrazione» offertaci dal governo ha puntato fin dall’inizio sulla promessa di un rapido ritorno alla normalità («restiamo distanti oggi per abbracciarci più forte domani») e in assenza di nuovi eventi traumatici, che ovviamente nessuno si augura, è difficile ritardare ancora il momento della ricompensa.
Però l’esperienza dovrebbe averci insegnato qualcosa. Da Ulisse in poi, ogni eroe corre i rischi maggiori sulla via del ritorno, quando l’illusione della fine imminente lo espone al colpo di coda del nemico.
Si tratta di conservare la concentrazione senza trasformarla di nuovo in agitazione. Pensarsi dentro una rete in cui a ogni causa corrisponde inesorabilmente un effetto che certo non verrà meno solo perché ci è venuto a noia.
Non è facile, ma non è impossibile. Non è facile nemmeno cambiare abitudini inveterate, e i due mesi di clausura totale, per quanto siano stati percepiti come lunghissimi, sono un periodo troppo breve per scardinare riflessi condizionati e modificare i comportamenti di una vita intera. L’irrazionale non può essere espulso per decreto dalla nostra testa: e cosa c’è di più irrazionale dell’atteggiamento di un uomo qualsiasi, per esempio l’estensore di questo articolo, che rispetta ancora con un certo puntiglio le precazioni quando è fuori di casa, ma ha smesso completamente di farlo tra le mura domestiche, dove vivono persone su cui lui non esercita alcun controllo quando a loro volta ne incrociano altre per strada? Eppure uno sforzo è necessario, proprio per non vanificare tutti quelli fatti finora.
C’è poi un aspetto che rischia di trasformarci in un popolo di dottor Jekyll e mister Hyde: lo stesso individuo tende a essere più prudente la mattina di quanto non lo sia la sera. Con un pizzico di ipocrisia, lo abbiamo derubricato a problema generazionale, legandolo agli stravizi della movida, ma la stanchezza di fine giornata riduce le difese di chiunque, favorendo il lassismo o comunque un certo rilassamento.
Nulla di preoccupante, succede da milioni di anni e vi sono legati alcuni dei nostri ricordi personali più belli, ma durante una pandemia non si può negare che l’attitudine umana ad allentare la presa su sé stessi al calar delle tenebre sia foriera di pericoli difficilmente neutralizzabili con un semplice appello al buonsenso. Però io voglio ancora sperare che il dottor Jekyll convinca mister Hyde a darsi una regolata, per evitare nuove restrizioni, compreso magari un coprifuoco, che finirebbero per intaccare definitivamente la salute dell’economia e anche quella mentale di parecchie persone.
Massimo Gramellini
Corriere della Sera, 08/09/2020
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