Piero Melograni, il ritratto di Corrado Ocone a cinque anni dalla morte
Diceva Raymond Aron, a cui lo spirito della boutade certo non mancava, che solo chi è stato un fervente e attivo comunista da giovane può essere un coerente liberale nell’età matura.
Piero Melograni, il grande storico commemorato all’Accademia dei Lincei a cinque anni dalla morte (avvenuta a Roma il 27 settembre 2012), alla presenza del Capo dello stato Mattarella e della moglie Paola Severini Melograni, appartiene certamente a questa tipologia umana.
Aveva appena ventisei anni (era nato nella capitale il 15 novembre 1930), quando, nel 1946, si iscrisse e cominciò a militare nel Partito Comunista, uscendone, come tanti della sua generazione, nel 1956, dopo la repressione sovietica in Ungheria che i comunisti italiani avevano avallato (fu tra i firmatari del cosiddetto “Manifesto dei 101” intellettuali che presero le distanze dal partito in cui militavano).
Al contrario dei più, Melograni abbandonò però allora la vita politica, a cui sarebbe tornato su altre sponde tanti anni dopo, e si dedicò completamente agli studi. Maturando a poco a poco quella compiuta visione liberale, che segnerà negli anni Ottanta un vero punto di svolta nella storia della nostra storiografia, da sempre orientata a sinistra.
Scrisse dapprima, e pubblicò per Laterza nel 1969, una magistrale Storia politica della Grande Guerra 1915-1918, tenendosi distante dalle interpretazioni marxista, da una parte, e nazionalista, dall’altra, che allora dominavano.
Andato in cattedra di Storia Contemporanea nel 1971 a Perugia (ove resterà fino al 1996), Melograni cominciò allora ad occuparsi del fascismo, indagando dapprima i rapporti da esso intrattenuti con il mondo industriale.
In Gli industriali e Mussolini. Rapporti tra Confindustria e fascismo dal 1919 al 1929, che pubblicò per Longanesi nel 1971, egli sfatò tutta una serie di miti, a cominciare da quello in vigore nella dominante storiografia marxista che faceva del movimento di Mussolini una reazione dei capitalisti all’avanzata della nascente classe operaia e alle sue rivendicazioni sindacali.
Ormai in Melograni andava gradualmente affermandosi una visione del fascismo come di una reazione antiborghese e anticapitalista, con molti più punti in contatto con il comunismo di quanti le opposte retoriche avevano voluto far credere. Uguale era prima di tutto l’avversione per le forme della democrazia rappresentativa e per il parlamentarismo. E in sostanza per il mondo moderno, come è documentato in quel vero e proprio gioiello della storiografia contemporanea italiana che è La modernità e i suoi nemici (Mondadori, 1996).
Nel frattempo, lo storico romano aveva dato alle stampe importanti opere come quella sui Rapporti segreti della polizia fascista (Laterza,1979); Fascismo, comunismo e rivoluzione industriale (Laterza, 1984); Il mito della rivoluzione mondiale. Lenin tra ideologia e ragion di Stato. 1917-1920 (Laterza, 1985).
Ormai lo stile di Melograni era diventato sempre più asciutto, anglosassone, semplice e diretto e poco accademico. Ed egli riusciva a parlare al pubblico colto in genere, presentandogli con la semplicità dei suoi modi prospettive da cui l’ideologia dominante lo aveva tenuto lontano.
Particolare risonanza ebbe l’ Intervista sull’antifascismo che Melograni realizzò a Giorgio Amendola per Laterza nel 1976: in essa veniva per la prima volta portato a tema quel vero e proprio “mito fondativo” della nostra Repubblica che è stato l’antifascismo. Il quale, non accompagnato da un giudizio altrettanto intransigente sul comunismo, ha fatto sì che la nostra ideologia nazionale non fosse mai coerentemente antitotalitaria e liberale come quella degli altri paesi occidentali.
Lo storico romano rifece capolino in politica nel 1995, finendo eletto, l’anno successivo, come indipendente nelle liste di Forza Italia. Egli era però ormai un liberale scettico e disincantato, senza il fervore e la passione giovanile.
Consapevole, forse, che il liberalismo è molto lontano dalle corde più profonde dell’animo nazionale. [spacer height=”20px”]
Corrado Ocone, Il Mattino 1 novembre 2017