Prima di incappare in inutili discussioni senza arte né parte riguardo alle strategie economico-politiche, credo sia utile chinare la testa sui libri per capire come funziona la macchina statale.
Tempo fa, lo spread, seppur senza che nessuno avesse a tal proposito frequentato palestre ad hoc, era diventato uno sport nazionale alla portata di tutti; una vasta parte della popolazione, sui social e dai barbieri, commentava in tempo reale la sensibilità con cui, i mercati finanziari internazionali, percepivano il rischio di credito dell’Italia. Ne sortì una confusione enorme. Nei bar si preferiva lo spread alla briscola ma, questo, non sostituiva affatto lo spritz così che, diciam pure oltre un certo orario, ognuno si lanciava in spericolate massime e asserzioni, degne di Gasperino il carbonaio, il personaggio interpretato dal buon Sordi.
Il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), detto anche Fondo salva-Stati, è uno strumento economico che non dev’essere sottovalutato; qui va fatta chiarezza. Molto utile sarebbe seguire le dirette Facebook sulla pagina della Fondazione Luigi Einaudi di Roma o, meglio ancora, accedere al relativo sito internet. Oltre le dirette, vi potrete trovare articoli e studi approfonditi da abili ed esperti economisti.
A tal proposito, va detta una cosa forte e chiara: chi amministra la cosa pubblica non può non conoscere questo strumento! Al contrario, si cadrebbe nel ridicolo: quando non si conosce un qualcosa si cerca sempre di minimizzarla o, peggio ancora, rifiutarla, facendone così una narrazione non veritiera.
Incominciamo a chiarire, così smentendo qualche politico e giornalista di parte, che i soldi presi dai mercati o dal MES, in un modo o nell’altro, devono essere sempre restituiti. Quindi, la notizia per cui l’Italia, a differenza di altri Stati, sarebbe la sola a doverli nel caso restituirli è una grossa balla. I soldi di cui si parla sono “a prestito”; tutti devono restituirli, ovviamente con dei tassi d’interesse. Non esistono altri strumenti sostitutivi, in grado di evitare una tale procedura. Qualcuno, approfittando della confusione, sostiene invece il contrario.
Lo Stato italiano, come tutti gli Stati, come tutte le Regioni, Provincie, Comuni, ha delle spese, chiamate “uscite”; lo Stato Italia ha circa fin qui sotto i 900miliardi di euro di uscite, così divisi: 450miliardi circa di spese correnti, o conto capitale, a bilancio per pagare i dipendenti pubblici, i docenti, i Vigili del Fuoco, porre in manutenzione gli ospedali, costruire scuole, mantenere le caserme, asfaltare le strade, investire laddove necessario, pagare servizi e utenze. Oltre a ciò, 70 miliardi li spendiamo per quel mostro che si chiama debito pubblico e che certo non servono ad abbassarlo. Ad oggi, la linea dei 2.400 miliardi di deficit, serve a pagare gli interessi del debito pubblico. Piccola parentesi: quando c’era Mario Draghi al comando della BCE, l’Italia pagava solo 35 miliardi sul debito pubblico. La cifra rimanente serviva, grazie alle politiche della Banca Centrale Europea, per opportuni investimenti che, Lega e M5S conoscono bene questa storia in quanto ne sono stati protagonisti, si trasformarono in disinvestimenti (quota 100 e reddito cittadinanza). Nel conto in uscita, ci sono anche i 250 miliardi che lo Stato deve restituire in base ai prestiti di anni addietro per cui, ogni anno, puntualmente, si ripresentano in quote diverse. E 110/120 miliardi vanno in altre voci.
Sommando tutto il conto, si torna a circa 900miliardi. Ma noi, questi soldi, non ce li abbiamo. Deteniamo nelle casse statali solo 580miliardi di euro, quindi: dove li troviamo gli altri 320 miliardi per continuare il prosieguo del nostro tenore di vita?
Escludendo che non si possono chiedere soldi ai cittadini, perché le tasse già le pagano e sarebbe come chiederglieli due volte, una soluzione consisterebbe nel vendere il patrimonio pubblico; che non sono i monumenti che abbelliscono il nostro paese (sarebbe comunque una idea disutile perché una tantum e la cifra mancante in saldo attivo la subiremmo ancora tutti gli anni e per tanti anni). Sono invece d’accordissimo nel vendere il patrimonio immobiliare pubblico inutilizzato. Oltre a disfarcene facendo cassa, se alienato a imprenditori adeguati, sarebbe un investimento turistico e di sicuro impatto commerciale. Questi immobili, se ristrutturati, ci farebbero guadagnare anche in decoro. Controproducente sarebbe altresì toccare il patrimonio mobiliare delle famiglie. Per averlo a disposizione, bisognerebbe adottare una patrimoniale e non mi sembra anch’essa una idea fruttuosa. L’unica soluzione, vecchia quanto la piramide di Giza, è andare sui mercati affidandosi agli investitori. Non è una novità.
Chi sono questi investitori o speculatori che lavorano per conto degli Stati? Non sono meschini farabutti. Sono persone che, oltre a saper far di conto, si assumono il nostro rischio per garantire il prosieguo dello Stato. A seconda di quanto abbiamo bisogno e della nostra offerta sul tasso d’interesse, gli investitori calcolano il rischio e decidono se fidarsi o non fidarsi. Ma se al Governo ci sono spendaccioni dalle mani buche, il tasso di interesse è destinato a salire perché viene meno la fiducia tra la bocca che chiede e la mano che dà. Anche la Germania chiede prestiti; e se andiamo a vedere quanto offrono i tedeschi e quanto offrono gli italiani ai mercati troviamo un differenziale: il tanto odiato spread.
Il 2020, soprattutto per noi italiani, sarà un anno particolarmente complesso perché dovremo chiedere di più per fronteggiare l’emergenza dovuta al Covid-19.
Anche le entrate dello Stato saranno diverse, in quanto molte attività lavorative si sono fermate e il contribuente non sarà in grado di pagare le tasse. Quindi, la Ragioneria di Stato, per far quadrato sui conti, dovrà chiedere molto di più dei soliti 280/300 miliardi. Secondo voi cosa succederà quando gli investitori, che già si fidavano poco prima dell’emergenza, si vedranno chiedere ancora più soldi? Sicuramente eleveranno il tasso d’interesse: e se l’Italia non sarà in grado di restituirli? Cosa succederà?
Non potendo chiedere un prestito a Paperon de Paperoni e nell’impossibilità di riprodurre gli euro con la stampante di casa, in nostro soccorso arriverà “Santa Europa” e con essa alcuni meccanismi atti a salvarci. Il MES, a differenza di ciò che dicono il presidente del Consiglio e il senatore Salvini e cioè che “ha una brutta fama” e che “è un furto”, è al momento il mezzo più conveniente per tenerci a galla.
Una cosa è certa. I cittadini, di questo MES, non ne vogliono sapere; non si fidano di questo meccanismo messo alla gogna da chi, invece di pensare al proprio Paese, come al solito, ha preferito le bugie, quelle stesse che ultimamente sono diventate il motore del debito pubblico.
Caro Matteo,
eravamo e siamo a tutt’oggi un Paese di santi, poeti, navigatori e allenatori di calcio. Siamo tutti CT della nazionale. Guarda che siamo sempre gli stessi della staffetta Mazzola-Rivera. Sono passati cinquant’anni e non abbiamo ancora capito se era meglio l’abatino o baffo. Oggi, con gli stadi vuoti e i palloni sgonfiati, non resta che parlare di economia e finanza per tirar sera. E così il Mes è il mantra dei nostri giorni. Non voglio dire che sbaglia l’opposizione a dire che il Mes sarà l’inizio della fine, che l’Europa è un feroce aguzzino pronto a mettere a pane e cicoria gli italiani e che la troika è pronta a invadere lo Stivale. Ci mancherebbe, fa parte del loro ruolo dire che tutto va male. Non mi interessa parlare di responsabilità, sarebbe troppo facile. L’opposizione picchia sul Mes per fare emergere le divergenze nella compagine governativa tra i Dem filoeuropei e i pentastellati pronti a seguire la linea di Casaleggio.E’ però interessante capire qual è, secondo certe voci dell’opposizione, l’alternativa al credito del Mes: i Bot. L’Italia mette sul mercato i titoli di stato per andare a prendere i quattrini che le mancano, titoli ovviamente “garantiti” dalla Banca centrale europea. Praticamente in un amen passiamo da anti-Euro (perdonami la forzatura) e Euro-straccioni, andando a chiedere (in realtà sarebbe più corretto dire che andiamo a elemosinare) in Europa che la Bce acquisti i titoli (e saranno moltissimi) che non verranno comprati dagli investitori. Bell’affare! Prima ti dico che non voglio i fondi del Mes per non pagarti gli interessi, per non avere la troika in salotto e per non farti vedere i conti, poi ti chiedo di comprarmi i Bot per poi pagarti… gli interessi. Ma il bello deve ancora venire! Il tanto vituperato Mes ha un tasso di interesse medio dei prestiti concessi dello 0,76 per cento. I Btp decennali hanno un tasso dell’1,6 / 1,8 per cento. Se ci facciamo prestare 1.000 euro dal Mes ne dovremo restituire 1.007 e 60 centesimi. Se prendiamo in prestito sempre 1.000 euro, ma pagando con il tasso di interesse dei titoli decennali italiani, ne dovremo sborsare 1.016 / 1.018. Peggio forse l’ha combinata il ministro degli Esteri, già bibitaro al San Paolo di Napoli, Luigi Di Maio. Il nostro, in una intervista rilasciata al quotidiano La Stampa lo scorso 25 aprile, ha dichiarato “…finanziamento a fondo perduto non significa soldi regalati. Significa entrare in un circuito in cui le risorse finanziarie della Commissione vanno comunque restituite”. E’ tutto nero su bianco. Il ministro, massimo rappresentante vivente della curiosa teoria “uno vale uno”, ci rappresenta nel mondo senza sapere cos’è un prestito.Alla fine, Gasperino il carbonaio è ancora meglio della triade Conte – Gualtieri – Di Maio. Gasperino ha agito come una troika ante litteram licenziando l’amministratore un po’ troppo scaltro: “Ma come, compriamo tutto a tre volte il prezzo corrente e solo ‘a legna ‘a vennemo alla metà?!”. Ma questo è lo scenario della politica romana, un quadro che potremmo descrivere prendendo in prestito una frase del nostro Onofrio del Grillo: “Roma è tutta un vespasiano”.