Da un punto di vista formale, costituzionale, il discorso pronunciato ieri a Dogliani da Sergio Mattarella è inoppugnabile: le prerogative che la nostra Costituzione assegna al Presidente della Repubblica sono notevoli e i presidenti che più se ne sono avvalsi sono stati il primo, Luigi Einaudi per l’appunto, e l’ultimo, Giorgio Napolitano.
Nella Costituzione materiale, cioè quella che si è affermata nella prassi, ha finito però per dominare una sorta di tacita intesa: il Presidente funge per lo più da “notaio”, ma fa poi valere le sue prerogative nei momenti di crisi del sistema. Una sorta di “potere a fisarmonica” in linea con lo spirito della Costituzione non teso tanto a trovare contrappesi fra i poteri per intrinseca sensibilità liberale, quanto per evitare che si potesse riproporre lo schema dell’”uomo forte” che era stato predominante in epoca fascista.
Quanto però alla possibilità di un paragone storico, e all’opportunità politica dell’intervento di Mattarella, mi permetto di sollevare qualche dubbio. Il “governo del presidente” voluto da Einaudi e presieduto da Giuseppe Pella durò solo pochi mesi e fu l’ultimo argine posto dal grande statista all’avvento della partitocrazia.
Con la caduta dell’ultimo governo De Gasperi, infatti, una stagione era volta a termine e i due grandi uomini politici che avevano posto su solide basi la rinascita del Paese si vedevano costretti a cedere il passo ai partiti, appunto, e anche a forze e uomini che avevano tutto sommato rispetto a loro un’idea di democrazia diversa. Più partecipativa che rappresentativo-liberale.
L’incarico che, subito dopo la caduta del “suo” governo, il Presidente si vide costretto ad affidare a Fanfani è altamente emblematico proprio della fine di un’epoca. Nel caso odierno, invece, ci troviamo di fronte a una situazione politica di quasi stallo di cui proprio i partiti, più o meno nuovi, sono responsabili con l’approvazione in parlamento (e con la firma dello stesso Mattarella) di una “perversa” legge elettorale che non poteva portare ad altro esito che questo, il cosiddetto “Rosatellum”. In questa situazione, va considerato quasi un miracolo che due delle tre forze maggiori presenti oggi nel panorama politico italiano, lontanissime per ideali e programmi, trovino un accordo per realizzare un minimo di programma e, si spera, per cambiare prima di tutto una nuova legge elettorale.
Certo, il Presidente deve vigilare a che queste forze non deviino dall’orizzonte democratico-liberale e che, soprattutto, siano consapevoli della grave situazione economica-finanziaria del Paese e tengano fede alle esigenze di bilancio (verso le quali, fra l’altro, Einaudi era attentissimo). Manifestare però l’intenzione di voler andare oltre ad un semplice veto su alcuni nomi scegliendone direttamente altri, è secondo me in questo momento politicamente controproducente: sia perché un governo con ministri nominati dal Presidente non troverebbe verosimilmente in questo momento i voti in Parlamento, sia soprattutto perché la dialettica fra poteri presidenziali e poteri democratici è ormai da troppo tempo sbilanciata a sfavore di questi ultimi.
La funzione di un governo “neutrale”, che di fatto tale non sarebbe e né forse potrebbe mai essere, non potrebbe che sobillare ancora di più il malcontento generale, che ora può essere controllato o incalzato solo attraverso le mediazioni e i compromessi della politica, nonché l’auspicabile (e comunque da incoraggiare) responsabilità delle forze politiche.[spacer height=”20px”]
Corrado Ocone, Formiche.net 13 maggio 2018