C’è un comune interesse della maggioranza e dell’opposizione, un interesse che è poi quello della politica che abbia a cuore la salute delle istituzioni e la propria libertà: passare al lavoro del legislatore, discutere di testi redatti in articolati, evitare di correre appresso a questa o quella iniziativa delle Procure. Tanto si sa noiosamente a memoria come va a finire. Mentre quello che si fatica a comprendere è che ci si perde tutti.
Se il governo pensa di affrontare in questo modo le inchieste già aperte e quelle che si apriranno – su componenti dell’esecutivo o della maggioranza – ha già perso prima di cominciare. Fra le cose perse c’è anche il senso dei limiti e del ridicolo, che soltanto tale smarrimento può giustificare il paragone con Enzo Tortora (che non solo fu arrestato e lungamente detenuto, ma si dimise da parlamentare europeo per affrontare il processo senza alcuna immunità e contestò la scelta di Toni Negri, eletto deputato, di sottrarsi alla giustizia). Che i parenti o gli amici o i colleghi considerino Tizio o Caio innocenti è del tutto irrilevante oltre che fastidioso; quel che conta è che tutti si è innocenti fino a sentenza definitiva che attesti il contrario.
Se l’opposizione pensa di guadagnare un vantaggio dalle indagini aperte su questo o quell’esponente del fronte avverso, ha già perso la partita politica prima di cominciarla. Perché, eventualmente, a vincere sarà un potere esterno e inquietante, che non è affatto quello della “giustizia” bensì quello dell’“accusa”. Prendere il posto dell’avversario demolito per via giudiziaria serve solo ed esclusivamente a ereditarne la sorte di demolito per via giudiziaria.
Che i primi aizzino l’opinione pubblica denunciando il complotto, affermando che non appena si parla di riforma della giustizia ecco che partono le inchieste, è senza senso. Perché sono trent’anni che va avanti così. Altro che sospette coincidenze. Che i secondi aizzino il pubblico invocando la moralità e la giustizia, incapaci di distinguere fra indagine e sentenza, pretendendo conseguenze dalla prima è sconclusionato. Non ci crede più nessuno. Entrambi si rivolgono alle proprie tifoserie, mentre dilaga la sfiducia su quale che sia cosa ed esito costruttivo.
Ed ecco il comune interesse: avviino subito la discussione parlamentare sulle riforme. Alla maggioranza sarà utile per dimostrare che non lasciarsi intimidire non significa rispondere agli avvisi di garanzia con insulti e minacce, ma affrontando il problema di milioni di cittadini la cui vita è rimasta incagliata fra le ruote dentate della malagiustizia. Alle opposizioni sarà possibile non soltanto interloquire fattivamente sulle proposte presentate, ma segnalare quelle mai presentate, perché i mesi passano e il solo testo di cui si dispone è un mozzicone di quel che Carlo Nordio espose come programma al Parlamento. Ci guadagnerebbero entrambi, se solo avessero come orizzonte la sorte collettiva e non unicamente quella dei propri voti e della propria salvezza.
Sarebbe infinitamente più civile il Paese in cui amici e avversari suggerissero agli eventualmente accusati di difendersi nella sola sede propria, ovvero le Aule di giustizia, rinunciando alla sfiancante commedia delle vittime e dei malfattori. Sarebbe un Paese in cui restano, ed è bene che restino, visioni diverse del bene comune e anche della giustizia, ma si condividerebbe il minimo indispensabile, ovvero la convinzione che essere denunciati non significa essere criminali, giacché si potrebbe essere calunniati, ed essere indagati non significa essere colpevoli, perché i prosciolti e gli assolti sono una marea di cittadini.
Se qualcuno pensa di usare le inchieste come mortaio, nel senso di arma, non ha capito niente di trenta e più anni di storia italiana. Ma il guaio è che rischia di finire con l’essere un mortaio da cucina, in cui si pesta inutilmente l’acqua. Che siccome è sporca finisce con il sozzare tutti quelli che si distinguono in questa deprecabile disciplina.