L’imperante uso dei device induce a riflettere sull’uso sempre meno considerato della scrittura a mano e in corsivo: ne parliamo con Andrea Cangini, direttore dell’Osservatorio permanente Carta, Penna & Digitale della Fondazione Einaudi
Scrivere con carta e penna è sempre meno frequente. Come se non servisse più, come se la comunicazione che viaggia nell’etere per raggiungere all’istante destinatari di qualsiasi latitudine abbia reso obsoleto anche solo il gesto di impugnare una biro. Oggi al posto del silenzio dell’inchiostro che tinge un foglio c’è quello di un pollice che compulsa uno schermo, oppure il ticchettio rumoroso di tastiere battute al ritmo frenetico dell’urgenza. E la pratica che per decenni ha riempito pagine di diari e quaderni resta quasi relegata tra le consuetudini desuete, superflue ma solo in apparenza.
Perché in realtà scrivere a mano, e in corsivo soprattutto, è molto più di un esercizio da evocare tra i sospiri di chi si racconta mittente di lettere imbustate, molto più di un’abitudine destinata a intorpidirsi, molto più di un’utilità sbaragliata da quella più svelta di pc, tablet e smartphone. Scrivere a mano è azione su cui oggi è interessante soffermarsi proprio perché in disuso, da (ri)valutare in equilibrio con la tecnologia diventata indispensabile, da considerare nell’ambito di una rilevanza che studi e ricerche medico-scientifiche stanno analizzando e appurando. Con risultati degni di nota tutt’altro che trascurabili.
“L’eccesso di digitale sta deteriorando le facoltà mentali dei giovani”
Il valore della lettura su carta e della scrittura a mano e in corsivo è al centro dell’attenzione dell’Osservatorio permanente Carta, Penna & Digitale della Fondazione Einaudi, organo che sviluppa una costante attività di analisi, ricerca e sensibilizzazione sulla loro imprescindibilità attraverso un comitato scientifico designato ad hoc (di cui fanno parte – tra gli altri – lo psicoanalista Massimo Ammaniti, la scrittrice Susanna Tamaro, la grafologa Valeria Angelini, il neuropsichiatra infantile Fondatore di Telefono Azzurro Ernesto Caffo). Secondo i dati pubblicati dallo stesso Osservatorio, negli ultimi dieci anni i disturbi dell’apprendimento degli studenti italiani sono aumentati del 357% e i casi di disgrafia del 163%. Le prove Invalsi del 2023, inoltre, hanno certificato che la metà dei ragazzi al termine delle scuole secondarie fatica a comprendere ciò che legge. Dati, questi, posti in correlazione con l’eccesso del digitale, considerato tra i responsabili del deterioramento delle facoltà mentali dei giovani.
“Non c’entra niente la nostalgia, né è una guerra al digitale. Semplicemente l’obiettivo è difendere una pratica che non è sostituibile dagli strumenti tecnologici e da cui dipende molta della nostra capacità mentale”, ci spiega il direttore dell’Osservatorio Andrea Cangini, registrando come i dati raccolti fino a ora mettano in relazione l’abuso di tecnologia digitale (social e videogiochi essenzialmente) alle capacità mentali neurologiche dei giovani, sempre più livellate verso il basso. “Ma il punto non è solo la capacità mentale fine a se stessa”, aggiunge: “Qui si tratta anche di riflettere sul concetto di libertà. Perché i giovani che non hanno il pieno possesso delle proprie capacità mentali non saranno in grado di comprendere liberamente la complessità del mondo in cui vivono”.
Cosa succede nel cervello quando si scrive a mano in corsivo
Una delle ricerche pubblicate nell’ambito dello studio presentato in Senato dalla Fondazione Luigi Einaudi spiega come la scrittura a mano e in corsivo, obbligando a non staccare la mano dal foglio, stimoli il pensiero logico-lineare che permette di associare le idee e accendere massicciamente le aree del cervello coinvolte anche nell’attività del pensiero, del linguaggio e della memoria. Della creatività, insomma. E non è un caso, infatti, che pure Steve Jobs, prima di abbandonare gli studi al Reed College di Portland, abbia deciso di frequentare il corso di calligrafia tenuto dal frate trappista Robert Palladino: certo dell’opportunità creativa della scrittura su carta, il più grande innovatore del mondo digitale, quattro anni prima di fondare la sua Apple, imparò a scrivere in corsivo, con eleganza, senza errori né sbavature.
“La scrittura a mano in corsivo non è solo un modo per impossessarsi meglio delle cose che si scrivono, ma è vera e propria ginnastica per il cervello che si sviluppa solo se si allena”, prosegue Cangini con un riferimento alle conclusioni dei neurologi: “Scrivere a mano e in corsivo sollecita 12 aree cerebrali. Lo stesso testo, scritto con un computer, un tablet o uno smartphone ne attiva solo due. Così la scrittura sviluppa l’emisfero sinistro del cervello che presiede il pensiero logico-lineare, organizza non solo lo spazio, ma anche i concetti già organizzati in un discorso molto più complesso e ampio. E questo vale anche per la lettura su carta che lascia un 20-30% in più della stessa cosa letta su un dispositivo digitale”.
Il punto di equilibrio tra passato, presente e futuro
La digitalizzazione della società è un processo in continua accelerazione che va studiato in tutti gli effetti, passo dopo passo. Lungi dal colpevolizzare gli strumenti tecnologici che – anzi – sono e restano un supporto imprescindibile per le indubbie opportunità che offrono, occorre però riuscire a trovare un punto di equilibrio tra “vecchio” e “nuovo” mondo. Tra un passato ormai lontano, il presente in continua trasformazione e un futuro certamente precorritore di altre novità.
L’obiettivo dell’Osservatorio – a cui hanno aderito, tra gli altri, l’Accademia della Crusca, il Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi, Telefono Azzurro, la Società psicoanalitica italiana e la nota azienda di taccuini e agende Moleskine – è quello di sensibilizzare sul tema, formare gli insegnanti, informare gli studenti e indirizzare le famiglie verso comportamenti sostenibili che si avvalgano sia di supporti cartacei che digitali. Ma anche di indirizzare le scelte del decisore politico, l’unico a poter dettare linee coerenti valide per tutti. A riguardo: “Interessante è l’esempio della Svezia, paese pioniere della digitalizzazione scolastica”, osserva Cangini, “che ha fatto un passo indietro rispetto alla decisione di inserire i tablet nelle scuole materne e primarie e ha reintrodotto libri stampati e quaderni. Decisione presa dalla ministra dell’Istruzione Carlotta Edholm dopo aver notato un notevole calo del rendimento scolastico”.
I ragazzi, dunque, dovrebbero essere accompagnati verso l’abitudine a studiare con carta e penna oltre che con i mezzi digitali, con la certezza che un mezzo non possa escludere e sostituire l’altro. “È nel loro interesse”, sottolinea Cangini, certo del valore dell’esempio che dovrebbe arrivare anche e soprattutto in famiglia: “Bisogna che anche i libri siano presenti nella vita di ogni giorno e in questo determinante sarà sempre l’apporto dei genitori. Finché i bambini vedranno i genitori con lo smartphone in mano e mai con un libro sarà tutto più difficile: un solo esempio conterà sempre mille volte più di mille parole. Non sarà semplice convincere gli studenti di ogni scuola a entrare in biblioteca, a chiedere libri e ad appassionarsi della lettura, ma anche convincerne uno solo è un segnale importante”.
Il parere di un’insegnante e di una mamma
Un altro punto di vista sull’argomento è quello di un’insegnante presso una scuola secondaria di primo grado di Roma: la sua impressione è che, in effetti, i ragazzi – studenti che vanno dai 10 ai 14 anni circa – siano poco abituati a scrivere in corsivo. “Noto che fanno fatica, che tendono a combinarlo con lo stampatello e capita che mi chiedano come si scrivano certe lettere maiuscole in corsivo perché le hanno dimenticate”, racconta la professoressa: “Penso che ritengano ormai superflua la scrittura in corsivo, di non averne bisogno perché tanto ci sono pc e tablet, che sia percepita solo come una formalità estetica di cui si possa fare tranquillamente a meno”.
Infine, il parere di una mamma di due ragazzi (uno di 12 anni che frequenta la seconda media e uno di 16 al terzo anno delle scuole superiori) che spiega come i suoi figli a scuola siano spesso lasciati liberi di scrivere in stampatello: “‘Basta che si capisca’ mi rispondono quando chiedo loro perché non scrivano in corsivo”. Un’altra facoltà riscontrata è quella consentita dagli insegnanti ai ragazzi del liceo di prendere appunti in classe e svolgere i compiti a casa solo sul tablet: “Mio figlio maggiore mi ha detto che per i professori non fa differenza fare i compiti su quaderni o dispositivi. Io sono rimasta un po’ perplessa… Le paginette di calligrafia che si facevano un tempo sono davvero un ricordo del passato”.
Donatella Polito, today.it