Non si sceglie quale libertà ci piace

Non si sceglie quale libertà ci piace

I dispotismi non sono solo la negazione delle libertà politiche e civili. Sono anche nemici della libertà di impresa

L’amicizia con Putin ribadita da Berlusconi e le sue parole ostili nei confronti di Zelensky ci ricordano che in Italia (non solo in Italia ma da noi in modo particolarmente esibito ed evidente) è dominante una concezione della libertà che la equipara a un salame: può essere tagliata a fette e ciascuno si prende la fetta che preferisce.

C’è chi apprezza e difende la libertà di impresa, la libertà economica, ma è tiepido, quando non del tutto indifferente, riguardo a certe libertà civili e politiche. Salvo dolersi, e rivendicare quelle libertà, se personalmente danneggiato dall’azione di qualche magistrato. E c’è, per contro, chi apprezza le libertà civili e politiche mentre, contemporaneamente, è ostile alla libertà economica. Ricordo una trasmissione televisiva di molti anni fa a cui partecipai insieme a Berlusconi. Putin aveva appena preso una decisione che smantellava un istituto importante della neonata democrazia russa: aveva ricentralizzato il potere sottraendo agli elettori il diritto di eleggere i governatori. La loro nomina tornava nelle mani del Cremlino. Osservai che si trattava di una mossa inquietante che sembrava annunciare una più generale svolta autoritaria. La replica di Berlusconi fu di tipo, possiamo dire, «efficientistico-manageriale»: disse che Putin gli aveva fatto vedere i curricula dei governatori nominati e che si trattava di persone preparate. Il conclamato liberalismo di Berlusconi non gli impediva di rimanere indifferente di fronte a un così palese indebolimento della sfera delle libertà politiche in Russia.
Quando Berlusconi entrò (fragorosamente) in politica e vinse le elezioni del 1994, non si limitò a fare nascere il centro-destra e a sconfiggere la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto. Sfidò anche le culture politiche che avevano dominato la Repubblica per oltre un quarantennio. Il messaggio politico era centrato sulla necessità di liberare mercato e imprese dai lacci e lacciuoli imposti dallo Stato. Era un messaggio ispirato al liberalismo economico (ciò che i suoi detrattori chiamano liberismo). Veniva infranto un tabù. Le culture politiche fino ad allora dominanti, animate da una parte ampia del mondo democristiano e dai comunisti erano sempre state diffidenti, quando non apertamente ostili, nei confronti delle imprese. Per quelle culture, mercato e imprese erano solo mali necessari. E comunque da tenere a bada, da controllare e da dominare. La rottura del tabù attirò, allora, intorno a Berlusconi, diverse personalità liberali (Giuliano Urbani, Antonio Martino, Lucio Colletti e molti altri). Persino Marco Pannella fece , nel ’94, un accordo elettorale con lui. Chi ritiene che gli odii che si guadagnò subito Berlusconi non abbiano nulla a che fare con il violento schiaffo che egli diede allora alla tradizione politico-culturale dominante in Italia, nega l’evidenza.
In seguito, nei successivi governi Berlusconi, restò la retorica della libertà di impresa e gli inni alle virtù del mercato, ma, nelle concrete politiche, il liberalismo economico delle origini si perse per strada.
Ritorniamo a ciò che Berlusconi ha detto di Zelensky. Si può esaltare la libertà (economica) e contemporaneamente manifestare ostilità per il leader di un popolo invaso che lotta per la propria libertà? Ebbene sì, si può, ma solo se si pensa che l’una libertà e l’altra siano cose totalmente distinte e, soprattutto, separabili.
Esistono ormai solide e abbondanti prove storiche che dimostrano che ciò non è vero. I dispotismi non sono solo la negazione delle libertà politiche e civili. Sono anche nemici della libertà di impresa. Anche se, in certe fasi storiche, il regime dispotico può scegliere di favorire la libertà economica (come in Cina dalle riforme Deng in poi) , si tratta solo di una parentesi destinata prima o poi a chiudersi. Come dimostra proprio il caso della Cina: il consolidamento del potere di Xi Jinping sta andando di pari passo con una nuova statalizzazione dell’economia cinese. Quando non è nutrita, alimentata e sostenuta dalla libertà politica e dalle altre libertà civili, l’esistenza della libertà di impresa resta in uno stato di precarietà, la sua sopravvivenza dipende dal capriccio del «principe». Dura fin quando il principe non cambia idea. Prima o poi è destinata a d eclissarsi.
C’è una contraddizione vistosa nel liberalismo monco di chi tiene separata la libertà economica (che apprezza) e le altre libertà verso cui è indifferente o, nella migliore delle ipotesi, più tiepido: o difendi tutto il «pacchetto» oppure, prima o poi, ti giocherai anche mercato e libertà di impresa.
Ma ciò che vale per Berlusconi vale anche, qui da noi, a parti rovesciate, per una parte ampia della sinistra: in questo caso, grandi inchini nei confronti delle libertà politiche e civili (salvo tacere di fronte a certe invasioni di campo di questo o quel magistrato), indifferenza, quando non aperta ostilità, nei confronti della libertà di impresa. Sul tema della concorrenza, ad esempio, non è vero che parti ampie della sinistra non condividano certe ostilità di principio di Lega e Fratelli d’Italia. Il fatto che il Pd non sia mai riuscito a diventare un autentico partito riformista dipende dal fatto che nel suo seno sono tuttora presenti e forti le correnti che diffidano del mercato e che accettano le imprese ma solo se tenute saldamente al guinzaglio. Sono le correnti che, almeno su un punto, non hanno mai davvero rotto con la tradizione comunista. Per la quale, come disse una volta Enrico Berlinguer, la proprietà privata (senza la quale non ci sono né libera impresa né mercato) è come il peccato originale per i cattolici. Plausibilmente, la più che probabile convergenza fra Pd e 5 Stelle rafforzerà quelle tendenze.
Ma vale anche in questo caso una regola: se resti indifferente agli ostacoli che incontra la libertà economica e se, magari, sei anche pronto ad aggiungerne altri, prima o poi, l’eccesso di invadenza dello Stato nella vita economica e sociale finirà per indebolire anche la sfera delle libertà civili e politiche.
Come scrisse Luigi Einaudi all’epoca della sua polemica con Benedetto Croce, la libertà è indivisibile: non puoi avere la libertà civile e politica se non hai anche la libertà economica. E viceversa. Non puoi avere la democrazia liberale se non hai anche il libero mercato. Ci sono troppi riscontri che ci obbligano a non avere dubbi:la libertà non è equiparabile a un salame.

corriere.it

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