Con un tweet rivolto al ministro Carlo Nordio la Fondazione Einaudi ha voluto aprire un dibattito costruttivo per l’attuazione delle riforme nella giustizia. Il “cinguettio” non lascia spazio ad interpretazioni: «ll cronoprogramma che ha annunciato per i provvedimenti sulla Giustizia, sia accompagnato da una letterina: le sue dimissioni! Il primo giorno di ritardo saluti e se ne vada. Non ci sono alternative». Un suggerimento, come evidenzia l’avvocato Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi, volto a sottolineare l’autorevolezza del guardasigilli, il quale nei mesi scorsi ha promesso interventi molto precisi e ormai improcrastinabili.
Presidente Benedetto, sta apprezzando le ultime masse del ministro della Giustizia, Carlo Norio?
Premetto che la stima mia e della Fondazione Einaudi nutrita nei confronti di Nordio é assoluta. Grandi speranze ci sono state nel momento in cui Nordio ha accettato di fare il ministro della Giustizia. Quello che intendo puntualizzare é che, tuttavia, non siamo interessati, se non per il rapporto di amicizia che ci lega, al destino personale di Nordio. Siamo invece molto più interessati alle sue idee, a quelle idee che il ministro, per una vita intera nella sua importante carriera di magistrato prima e di opinionista poi, ha espresso con lucidità e coerenza. Se queste idee, oggi che Nordio é ministro della Giustizia, trovano una ricaduta, noi non solo ne saremo felici, ma sosterremo, sui temi in questione tanto Nordio quanto il governo.
Se, invece, quelle idee si impantanano in una logica di do ut des politico-parlamentare, a quel punto saremo costretti a prendere le distanze. Insisto, però: le idee di Nordio sono per noi il faro che deve illuminare la strada delle garanzie di libertà per il cittadino.
Pensa che, non essendo inquadrato in alcun partito, come tra l’altro ribadito pochi giorni fa in televisione, Nordio possa essere ostacolato nel suo intento riformatore?
Si.
Me lo può spiegare?
Il mio riferimento è alle riforme costituzionali e, in particolare, alla separazione delle carriere. Posso affermare, senza tema di smentita, che Fratelli d’Italia, nella scorsa legislatura, era molto interessato al progetto di riforma costituzionale, che prevedeva anche la separazione delle carriere proposta dalla Fondazione Einaudi. Da quando FdI ha assunto la guida del governo, non posso negare che quell’interesse, per usare un eufemismo, è andato scemando. Anzi, più che scemare progressivamente è cessato totalmente. Credo che sul punto abbiano influito quelle logiche di politica parlamentare cui accennavo prima. È opportuno comunque entrare nel merito delle questioni.
A cosa si riferisce più nello specifico?
La Fondazione Einaudi, come è noto, ha tanto da dire e tanto da offrire in termini di proposte riformatrici. Oggi non si può più procedere con gli “effetti annuncio”. Leggo in alcune interviste e in molti articoli che da qui a poche settimane, ma non sappiamo quando, sarà presentato un cronoprogramma con scadenze puntuali su alcune riforme importanti da realizzare. Si è parlato di abuso d’ufficio, di traffico di influenze e di intercettazioni. Ad oggi non abbiamo assolutamente idea del merito di queste riforme e in che senso ci si voglia muovere. Lo scopriremo solo quando i provvedimenti verranno formalizzati. Sull’abuso d’ufficio noi sappiamo che in passato Nordio, ma anche altri esponenti della maggioranza, lo hanno definito un “reato irriformabile”, premessa logica per procedere in maniera lineare verso l’abrogazione tout court. Mi domando, quindi, quale sarà la strada che il governo intende percorrere. Consiglio al ministro, nell’interesse suo e delle sue idee, di accompagnare queste riforme con una lettera, molto gentile, in cui ribadisce quanto ha già affermato il giorno del suo insediamento. Ha detto infatti: “Sono pronto alle dimissioni, qualora le mie idee non dovessero trovare accoglimento”. Questo è il momento, a distanza di sei mesi, per connotare la sua azione. È il momento delle riforme liberali e se non venissero accolte per logiche politiche e partitiche, credo che la lettera di dimissioni avrebbe ragion d’essere.
Qualche giorno fa, parlando alla Camera sul caso Artem Uss, il ministro della Giustizia ha affermato: «Così come nessuno può addebitare a un procuratore della Repubblica un intento intimidatorio nei confronti degli indagati, nessuno può permettersi di imputare al ministro un’interferenza invasiva quando esercita le sue prerogative per verificare la conformità del comportamento dei magistrati al dovere di diligenza, tra i quali campeggia il dovere di motivazione dei provvedimenti». Un principio di civiltà giuridica che fa emergere le qualità del guardasigilli?
Sottoscrivo parola per parola quanto ha detto il ministro, ma deve consentirmi una chiosa. Sono d’accordo con l’onorevole Enrico Costa quando dice che questo stesso principio debba essere applicato ai magistrati che invece di concedere i domiciliari a chi si trova in carcere fanno l’esatto contrario e perseverano sulla soluzione del carcere. Quando questo principio sarà applicato in entrambe le direzioni, questa seconda mi sembra una percentuale molto più rilevante di casi alla luce dei numeri registrati in questi anni, allora il principio enunciato dal ministro Nordio sarà stato effettivamente rispettato.
Nell’attuale legislatura, anche per la presenza di un ministro della Giustizia così autorevole, lei ritiene che sarà possibile una maggiore collaborazione tra i protagonisti della giurisdizione, vale a dire avvocati e magistrati?
Questa legislatura sul tema che lei ha indicato è cominciata bene, ma sta proseguendo in maniera poco comprensibile per i motivi su cui mi sono già espresso. Vi è poi un altro spunto di riflessione a mio avviso rilevante. Sento voci in base alle quali il ministero intenderebbe calendarizzare la separazione delle carriere in autunno. Una serie di norme il governo potrebbe già proporle e il Parlamento potrà successivamente discuterle e approvarle. Proprio in Parlamento, pendono già alcune proposte di legge che hanno preso spunto dalle iniziative della Fondazione Einaudi e dell’Unione delle Camere penali. Sarebbe opportuno, anche per speditezza ed economia di tempi, partire dalle proposte già esistenti. Una sospensione di ulteriori sei mesi rischia di essere un lasso di tempo eccessivo. Non vorrei che le incertezze e le differenze di idee all’interno della maggioranza portino a rinviare i problemi. Penso che non si possa più temporeggiare. Non dimentichiamo pure le deleghe della riforma Cartabia. Sul punto c’è stato un rinvio del governo di sei mesi. Alcuni temi, come il fascicolo delle valutazioni dei magistrati e la questione dei magistrati fuori ruolo, potevano e dovevano essere affrontati già in questa fase dal governo. Ma su tutto, a preoccuparmi di più, è l’occupazione da parte dei magistrati, non mi interessa a quale corrente appartengano, del ministero della Giustizia. Mentre professori universitari e avvocati, che possono ben coprire qualunque carica apicale a via Arenula, guarda caso, continuano a non essere coinvolti. Su tutto questo valuteremo l’operato del ministro Nordio e del governo.
Gennaro Grimolizzi, Il Dubbio, pag. 4, 27 aprile 2023