Bella la fotografia che ritrae la nostra presidente del Consiglio accanto al presidente degli Stati Uniti. Ma si deve guardare a quel che c’è dietro. Su quelle due poltrone si sono già seduti altri, in rappresentanza dei due Paesi, ma la situazione non è sempre la stessa. Dietro quel ritratto c’è un’idea di Occidente tutt’altro che scontata e in divenire.
Finita la guerra (1945) e nata la Repubblica (1946), quando si trattò di decidere se essere parte dell’Alleanza atlantica (1949) ci fu, in Italia, un durissimo scontro. Era contraria la sinistra a dominanza comunista, perché la Nato sarebbe stata contrapposta all’impero sovietico. E l’Italia, come premurosamente ci veniva ricordato urlandolo in piazza, era il Paese non sottoposto all’Urss con il “più grande partito comunista”, di stretta osservanza e dipendenza economica sovietica. Era contraria anche la destra nostalgica del fascismo, il Movimento sociale la cui fiamma brucia ancora nel simbolo di Fratelli d’Italia. Il che era comprensibile, visto che la guerra la vollero dall’altra parte, quella del torto marcio. Ed era contraria una parte significativa del mondo cattolico, che restava antioccidentale e a vocazione disallineata e mediterranea. De Gasperi e Sforza seppero farsi valere.
Ma sarebbe sbagliato pensare che le divisioni di allora fossero appena nate, perché affondano le radici nella stessa Unità d’Italia. Gli Stati Uniti riconobbero subito la Repubblica Romana (1849) – di Armellini, Mazzini e Saffi – avversata dal Vaticano e dai papalini. Le parole papaline di allora additavano la Repubblica quale nemica della fede e dei sacri costumi italiani (alla Kirill e Putin). E dopo l’Unità (1861) si dovette attendere degli anni prima di riuscire a liberare Roma dai papalini (1870) e farne la Capitale. E i papalini di allora non erano la ridicola nobiltà nera che vendette le terre e le dimore ai palazzinari.
Si potrebbe e dovrebbe continuare a lungo, perché serve a capire che questi sentimenti sedimentano e generano quella cosa che si ripete come luogo comune, l’Italia “a cavallo” o “terra di confine”. Il Paese che può dirsi dalla parte di Israele, ma assicurare ai terroristi palestinesi di usarlo come base logistica (furono casualmente arrestati con un missile!), a patto di non eseguire attentati in Italia (così detto “Lodo Moro”). Magari l’ignoranza li mette al riparo dalla consapevolezza, ma grande parte degli antioccidentali odierni, di destra e di sinistra, hanno un conto aperto con il processo unitario e con lo Stato laico. Per tante ragioni, che qui non c’è spazio per approfondire, la nostra storia nazionale non ha proceduto a digerire e interiorizzare, preferendo deglutire e accantonare. Non a caso riusciamo a far polemiche demenziali ad ogni 25 aprile.
Quella foto alla Casa Bianca ritrae una governante italiana che condivise quei sentimenti dell’Italia perdente, criticando anche le blande sanzioni alla Russia, dopo l’invasione della Crimea. Una governante che guida una coalizione in cui quel modo di vedere era stato prevalente. Ma lei siede lì, mentre un Bolsonaro non c’è mai riuscito e un Orban non ci riuscirà. Perché dietro c’è la criminale aggressione di Putin all’Ucraina e la nettissima scelta di continuare la linea occidentalista di Draghi.
Quella foto è il ritratto dell’Occidente: area di democrazie, in cui è non solo legittimo, ma doveroso che vi siano idee e partiti diversi e contrapposti, ma in cui non può essere messa in discussione la difesa dell’Occidente. Pena l’esclusione dal governo (la conventio ad escludendum del Pci) o quella del proprio Paese dal novero delle libertà, prosperità e sicurezza. Questo Meloni lo ha capito e interiorizzato. Ed è un bene per l’Italia. Anche la sinistra lo ha capito e, nel punto critico, s’è fatta guidare da ex democristiani come Letta e Guerini. Ma non lo ha interiorizzato, perché rimproverando alla destra di non avere fatto i conti con l’essere stati fascisti ha evitato di fare i conti con l’essere stati comunisti.