Il problema non è d’essere liberi da chi cerca di condizionarti o indirizzarti, ma restarlo dall’umano desiderio d’essere applaudito e sostenuto. Ammiro Giampaolo Pansa non solo e non tanto per il giornalista e lo storico che fu, il cui stile e i cui studi, seri assai, hanno segnato un’epoca, quanto per l’esempio intellettuale che resta. E che resta un’eccezione.
Non si è mai liberi dalle proprie convinzioni e passioni. La forza sta nel sottoporle continuamente a verifica. La grandezza sta nel cambiarle, se del caso, con sofferenza, non con la giuliva agilità di chi si mette al vento. Avvertendo del cambiamento e non nascondendolo. L’imparzialità è mito per gonzi, l’onestà è quel che conta. Ovvio che chi scrive o dice quel che gli suggeriscono o impongono è una mezza cartuccia e un totale niente, ma neanche si deve restare prigionieri di quanti mostrano di apprezzarti, magari capendoti solo in parte. E neanche grossa. Pansa ebbe sempre chi lo apprezzava, e molto, ma si costruì anche quelli che lo detestavano, e troppo. Finì con il sembrare sinistro ai destri e destro ai sinistri. Condizione che gli invidio, perché segna la sua liberazione da apprezzatori e detestatori.
Gli italiani sono spesso faziosi a prescindere. Capita ai (pochi) coerenti di dire sempre le stesse cose (per esempio sulla spesa pubblica) e trovarsi a star sul gozzo ai governanti, ma a turno apprezzati dagli oppositori. Quando se n’avvedono suppongono sia tu l’incoerente. Invece è la faziosità a ubriacarli e renderli incapaci di procedere in linea retta.
Un po’ di pepe ci sta, nell’insaporire la vita politica e culturale. Per carità. Ma impepare il nulla non lo rende più saporito, bensì nocivo e repellente. Quando capita chi ha sostanza e la presenta nel suo sapore, senza truccarla e senza preoccuparsi delle reazioni, allora: giù il cappello.