Ricordando Raffaello Franchini a venticinque anni dalla morte, Ernesto Paolozzi volle pubblicare il profilo che aveva redatto per il suo maestro e che apparve sul Dizionario del liberalismo diretto da Fabio Grassi Orsini. In quell’occasione scriveva che il suo e il maestro di tanti di noi era un filosofo non accademico o monastico ma politico e militante il cui lavoro costante era versato nella ricerca della verità e nella difesa della libertà, “compresa quella consistente nel diritto alla filosofia, nel diritto-dovere di esercitare lo spirito critico e di lavorare affinché siano garantite le condizioni perché quel diritto-dovere si possa esercitare liberamente”. Le parole scritte per il maggior interprete di Croce del secolo scorso valgono per lo stesso Ernesto Paolozzi – l’amico, il critico, il giornalista, lo sportivo – che ci ha lasciato ieri improvvisamente all’età di 67 anni dopo una vita spesa, non senza eleganza e ironia, nella difesa dei valori liberali.
Quando va via un amico e una persona perbene, qual era Ernesto, non si ha voglia di nulla e si vorrebbe stare nella pace del Signore per ricordare i momenti belli passati insieme. L’ultima volta che ci vedemmo fu a Pescasseroli, entrambi chiamati per discutere del pensiero di Croce e in quell’occasione visitammo insieme tutto il Palazzo Sipari e ci soffermammo nella stanza dove venne alla luce il grande filosofo. Ernesto – figlio di Mariano Paolozzi, latinista, uno degli ultimi sopravvissuti del lager di Dachau, e fratello dell’attore popolare Oscar Di Maio – fu, come sempre amabile nella conversazione e passava, insieme con leggerezza e profondità, dall’amicizia nell’Etica di Aristotele alla simpatia per il gusto del grande calcio espresso a Napoli da Maradona, all’apprezzamento per la viva intelligenza dell’Estetica di Croce di cui era oggi il principale studioso. Sì, perché Ernesto Paolozzi fece tutta la sua bella carriera professionale: borsista all’Istituto Italiano per gli Studi Storici, vincitore della borsa di studio Francesco Compagna per gli studi meridionalistici, insegnante nelle scuole di secondo grado, quindi docente al Suor Orsola Benincasa di Storia della filosofia contemporanea. Tuttavia, la dimensione più vera di questo particolare studioso dell’opera di Croce è extra moenia ossia in quell’ispirazione civile del pensiero in cui il suo interesse per l’estetica, il liberalismo e la dialettica erano in continuo ricambio con la vita alla quale trasmettevano la sua naturale simpatia e la necessità di pensare per vivere liberamente. Ecco perché l’Ernesto Paolozzi più vero lo si deve andare a cercare non solo nei suoi libri, dai Problemi dell’estetica italiana del 1985 a Benedetto Croce. Logica del reale e il dovere della libertà del 2015, ma anche nel fondatore dell’Associazione Giovanni Amendola e nell’agitatore e direttore della rivista Studi critici. Se, andando ahimè indietro nel tempo, apro il numero 0 dell’ottobre 1991 di quella rivista, vi trovo il suo saggio sul “liberalismo come metodo” che di quell’impresa durata troppo poco era il programma ideale e che tuttora è un ottimo veicolo di grazia e di introduzione per chi voglia avvicinarsi al pensiero liberale di Croce e alla stessa nobile figura di Paolozzi. In quel tempo – Franchini era scomparso da poco – mi avvicinai agli “amendoliani” di Paolozzi, alla sua rivista, gli inviai una lettera, gli parlai dell’opera di Salvatore Valitutti e lui, Ernesto, invitandomi a dargli una mano mi scrisse: “Conservo una lettera di Valitutti drammatica in cui mi diceva che questo Pli non poteva che morire e rinascere dalle sue ceneri. E’ quanto sta accadendo. Per questo sto cercando con Zanone e molti amici napoletani di dare vita ad associazioni, riviste, etc. da poter affiancare al partito”. Come si vede, Ernesto Paolozzi non era semplicemente un professore ma uno di quegli interpreti del pensiero critico meridionale ossia europeo che, non si sa come, continuano a nascere e sono per natura vocati alla conoscenza e difesa della libertà che, in definitiva, son la gioia e la sofferenza dell’umanità di cui Ernesto Paolozzi era ricco.
Corriere del Mezzogiorno