S’erge imponente il politico che vuol far la parte del difensore popolare, ma anche signorile: <<giù le mani dalla casa>>. S’è sentito dire, assai a sproposito, anche per la riforma del catasto, che, al contrario, è cosa buona e giusta per tutti i contribuenti onesti, mentre risulterebbe indigesta agli evasori. Lasciamo da parte quel che sappiamo a memoria, ovvero che chi veramente non vuole tassare evita prima di tutto di far crescere la spesa corrente, sicché l’anzidetto ergersi è, il più delle volte, floscio adagiarsi nel dire senza capire. Lasciamo perdere. Concentriamoci su un altro punto: la patrimoniale non sarebbe affatto male, meglio ancora l’esproprio, le mani sulle case vanno messe eccome, il patrimonio immobiliare deve essere fonte di gettito. Ma non il patrimonio privato, bensì quello pubblico. Ci si farebbero dei bei soldi.
Il patrimonio immobiliare pubblico è enorme. Ha un valore alto, ma non solo non rende, bensì costa. Quando un patrimonio costa è giunto (da tempo) il momento di venderlo. Questo si deve fare: vendere. Usando la testa. E preveniamo subito l’obiezione di chi è così acuto da ridere già di quel che riesce a dire: nel patrimonio da dismettere non è compreso il Colosseo, non solo perché non è immobiliare, ma anche perché devono ancora essere messe le finestre.
I nostri centri storici sono pieni di immobili pubblici di grande prestigio e rara scomodità. Pensate, per dirne una, alle prefetture, spesso in palazzotti signorili, scomodissimi per lavorarci, impossibili per parcheggiare, aggravanti il trasporto pubblico. Palazzi che costano, anche perché inadatti all’uso (lo erano un secolo addietro). Quegli stessi immobili possono divenire residenze, centri commerciali, alberghi di primissimo livello, valorizzando il tessuto urbanistico che li circonda e facendo divenire fonte di reddito quel che oggi e causa di spesa. Gli uffici possiamo farli belli nuovi, cablati, ampio parcheggio, fermata del treno o metropolitana o bus, fuori, ben fuori dal centro storico.
Accanto a questi palazzi c’è l’immenso patrimonio abitativo pubblico, nel quale è già tanto se il proprietario riesce ancora ad avere un elenco degli indirizzi e degli inquilini. In molti casi non ha né l’uno né l’altro. Molti inquilini neanche si sognano di pagare, altri hanno canoni irrisori, autentico insulto al vicino di casa, che ha la sfortuna di pagare il mutuo o l’affitto a prezzi di mercato. Solo il comune di Roma deve riscuotere, e non riscuoterà, più di un miliardo di euro. Quel patrimonio non solo non rende, ma costa, perché ci sono da pagare gli uffici che lo gestiscono (si fa per dire e anche un po’ per ridere), come c’è la manutenzione, altrimenti viene giù tutto. E siccome si spende poco, si fa poca e mala manutenzione, l’effetto paradossale non è che si risparmia, ma che si perde valore patrimoniale. Vendere. Vendere tutto.
Tre cose devono essere fatte. La prima è mozzare le tante mani pubbliche che detengono il patrimonio. Quei diritti di proprietà si traducano in diritti di prelievo, al valore di bilancio (infinitamente più basso di quello di mercato), post vendita. Sul mercato il venditore deve essere uno solo. La seconda cosa e rendere razionali i vincoli di destinazione d’uso: se compro una caserma deserta non devo metterci per forza il mio esercito. Il patrimonio vale poco se su quello pendono venti anni di pratiche per fare un campo da tennis. Terza cosa: non vendere alla spicciolata, ma mettere il tutto in un contenitore e chiamare operatori professionale e internazionali a trattarlo, magari per lotti omogenei.
Il valore complessivo potrebbe essere nell’intorno dei 400 miliardi. Ma fossero anche un decimo si tradurrebbe un costo in gettito e roba morta in vita. I proventi vadano per due terzi ad abbattimento del debito e per un terzo a investimenti. Che patrimoniale sia, ma la mettano la sora Cesira e il sor Augusto sullo Stato, non il contrario.
La Ragione