Purtroppo Diego Armando Maradona, che non è stato in pace da vivo, non lo sarà neppure da morto, a giudicare dalle beghe ereditarie e giudiziarie. Ma qui parlo della sua luce, non delle ombre che ne accompagnarono e tormentarono l’esistenza. Qui parlo del calciatore, un mito vivente deificato post mortem. È stato il Giove dell’Olimpo calcistico oppure il re degli Dei fu Pelé? Persino i credenti nella fede pagana del pallone sono divisi. Irreconciliabili. Forse, spostando la diatriba dal piano religioso al piano politico, una risposta soddisfacente riusciremmo a trovarla. A cosa paragonare Pelé e Maradona? Il primo alla libertà, il secondo alla democrazia. Sarà il metro di giudizio.
Pelé era (da calciatore, poiché vive felicemente!) l’eleganza, la bellezza, la grazia. Ogni sua mossa aveva la leggiadria della creazione artistica, la leggerezza del pittore ispirato che ruota il pennello nell’aria prima di calarlo sulla tela. Pelé era la perfezione fisica, atletica, tecnica. Il suo talento era naturale, congenito e conforme. Nulla era forzato. I suoi movimenti danza classica. Volteggiava concentrato eppure distaccato, elastico, senza costrizione e tensione. I suoi dribbling sinuosi e morbidi. Avvolgevano l’avversario, lo ammaliavano. Incantava anche i più arcigni marcatori. E i gol uno spettacolo nello spettacolo. La fantasia d’esecuzione era il conseguente epilogo dell’azione. La sequenza delle mosse portava a quella conclusione, attesa e sorprendente insieme. Una conclusione che ne faceva un unicum. Ha incarnato come nessuno prima e dopo di lui la libertà in un gioco tuttavia soggetto a regole e àrbitri. Rispettava le une e l’altro. Eppure, pareva trascendere le prime e fare a meno del secondo. Pelé non sudava. Il prato lo sfiorava soltanto. Un angelo in volo. Libero.
Maradona era diverso. Quasi l’opposto di Pelé. Come calciatore era un fenomeno come Pelé. Ma appariva fenomenale solo giocando. Stando in campo era stupefacente. Faceva giocate mostruose. Le sue prestazioni erano inaspettate perché innaturali. Le sue gambe ruotavano in modi sorprendenti, quasi fossero disarticolate. Il baricentro corporeo gli consentiva brevi scatti imprevedibili come fulminee accelerazioni lunghe. La sua andatura era saltellante. La specialissima complessione gli consentiva d’imprimere al pallone traiettorie sbalorditive e inimmaginabili. Maradona ha sovvertito molte certezze in fatto di giocate, dai gol impossibili in teoria, realizzati sotto gli occhi di milioni di spettatori, ai palleggi da fare invidia ai giocolieri di professione. Le sue azioni non erano eleganti perché vi imprimeva una forza agonistica incompatibile con l’armonia dei corpi. Lo sforzo era evidente anche se limitato al colpo di una punizione. La sua corsa era scomposta pur quando realizzava il gol più bello della storia del calcio, quale fu considerato esagerando. Maradona era una massa popolare, la democrazia in movimento. Era aggrappato al terreno. Sapeva profittare delle imperfezioni della vita calcistica e delle regole del gioco. In gara non demordeva alla stregua d’un candidato spasmodicamente impegnato in campagna elettorale. Come la democrazia, aveva difetti. Ma come la democrazia, se paragonato era il migliore in campo.