Pensioni, l’effetto recessivo di quota 100

Pensioni, l’effetto recessivo di quota 100

Quando il topo fiuta il formaggio la trappola è già stata caricata e la sua sorte è segnata. L’inizio del 2019 porta con sé l’aroma di più pensionati e nel guardare quel che può succedere nel pubblico impiego già si vede come funzionerà la trappola.

Nel corso dell’anno appena iniziato gli statali che maturano i termini per andare in pensione saranno fra 90 e 100 mila. A questi se ne aggiungono 120-140 mila che potranno utilizzare la quota 100 (di cui ancora sappiamo troppo poco, avendone parlato fin troppo a lungo). Significa che andranno in pensione fra 110 e 240 mila persone. Dice il ministro della funzione pubblica, Giulia Bongiorno, che saranno tutti rimpiazzati. Dice anche che nonostante i processi penali diventeranno eterni non per questo diminuiranno le garanzie per i cittadini, il che toglie ragionevolezza alle sue previsioni. Ma poniamo che, almeno per quanto di sua competenza ministeriale, il ministro abbia ragione.

Ne derivano due conseguenze.

1. La prima è che, come era ovvio, la supposizione che per ogni pensionando ci saranno due o tre nuove assunzioni è campata in aria. Già è tanto se ci sarà uno scambio uno a uno.

2. La seconda è che aumenterà la spesa pubblica, sommando nuovi pensionati e nuovi assunti, senza che questo si accompagni ad alcuna riforma dei servizi, quindi pagheremo di più per avere sempre la stessa cosa.

Due conseguenze con effetto recessivo, altro che manovra del popolo e deficit per la crescita! Per coprire queste spese o aumenterà il debito (cosa che il governo nega) o aumenterà la pressione fiscale e previdenziale (cosa che il governo ha già messo in conto, pur negandola a chiacchiere). Il che comporta minore competitività e maggiori costi per i produttori di ricchezza. Con effetti recessivi, appunto.

Nel 2008 i trasferimenti dallo Stato verso l’Inps ammontavano a 60 miliardi di euro. Nel 2018 sono giunti a 110. Così andando cresceranno ancora. Significa che un Paese che ha una bassa partecipazione al lavoro spende sempre più soldi non per investimenti che creino ricchezza offrendo lavoro, ma per finanziare il non lavoro. Sia sotto forma di sussidi ai non occupati (o presunti tali, in realtà lavoratori in nero) che di incentivi a smettere di lavorare. Un assistenzialismo improduttivo che da nessuna parte e in nessun tempo ha mai generato sviluppo.

DG, 2 gennaio 2019

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