Mettiamo da parte le considerazione politiche, storiche o morali. Facciamo finta si possano sospendere e chiediamoci se non ci converrebbe, a noi italiani, ai nostri consumatori, alle nostre imprese, chiudere al più presto la guerra e ritrovare un’intesa con la Russia. Talché si possa commerciare, esportare, riscaldarsi e rinfrescarsi come prima. Invece di cercare di prevalere o di umiliare gli aggressori, non ci converrebbe, a noi italiani, pensando solo a noi stessi, concedere quei lembi territoriali che i russi vogliono e farla finita? La risposta è: No. Non ci converrebbe. Ammesso si possano mettere da parte politica e morale, No, un cedimento nostro sarebbe la nostra rovina materiale, economica.
Per capirne le ragioni si deve ripartire dai dati della realtà, da ultimo aggiornati dal Fondo monetario internazionale. La nostra crescita attesa, nel 2022, è di 2.3 punti di prodotto interno lordo, con un rallentamento, rispetto alle precedenti previsioni di un -1.5. Cresceremo, quindi, non andremo indietro, ma ci spingeremo avanti di un punto e mezzo meno delle attese. Ai tedeschi, più esposti sul fronte russo, del gas e non solo, va peggio, rallentando di un -1.7 e crescendo, quest’anno, del 2.1. Se non ci fosse la guerra potremmo riprenderci una crescita ben più vigorosa. Però attenzione, perché la medesima fonte prevede che l’anno prossino noi cresceremo di 1,7 punti, mentre la Germania di 2.7. Eppure siamo sulla stessa barca, guerra e gas ci sono o non ci sono allo stesso modo.
Allarghiamo lo sguardo: la crescita dell’Euroarea è prevista al 2.8 quest’anno e al 2.3 l’anno prossimo. In entrambe i casi più di noi. Eppure noi siamo, dentro quell’area, il Paese più beneficiato da soldi europei regalati e prestati al di sotto dei tassi di mercato. E allora? Allora sono decenni che cresciamo meno degli altri, il che si deve a problemi e ritardi italoitaliani. E siano ancora qui a cincischiare su riforme a dire il vero banali, dal catasto a una camomilla sulla giustizia, dalla burocrazia per impiantare energia rinnovabile alle regole di mercato, diritto fallimentare compreso. La causa del ritardo è interna, non esterna. Inutile far credere che tutto dipenda dalla guerra. Possiamo pure mandare un mazzo di rose a Putin, cambia nulla.
Le tensioni fanno crescere i tassi d’interesse e noi abbiamo il più imponente debito pubblico. Già solo i rialzi dei giorni scorsi, con i Btp che sfiorano il 3%, comportano una maggiore spesa di un paio di miliardi. La Banca centrale europea è pronta a intervenire nel caso gli spread, ovvero la differenza fra i tassi che ciascun Paese paga, tornassero a divaricarsi troppo. Ma intervenire non significa cancellare. I successi (strepitosi) di questi anni non devono far credere che si abbia questo potere.
Infine, si osservi lo sbilenco dibattito parlamentare sul Documento di economia e finanza: nel Paese con più fondi a disposizione i partiti s’affanno a chiedere al governo, che prova a resistere, un ulteriore “scostamento di bilancio”, che è il travestimento semantico di: più debito pubblico. Perché chiedono più soldi a debito, quando è già in dubbio che si riesca a spendere tutti quelli che riceviamo? Perché solo quelli a debito possono essere distribuiti in assistenzialismo. Che ha sempre una giustificazione nobile e si può fare anche con ignobile incapacità. Basta regalare.
Ora prendete un Paese così combinato, ricordate che il 60% delle nostre esportazioni sono verso il mercato Ue, la parte rimanente prevalentemente verso il nord America, portatelo fuori dalla protezione della Bce e dalla solidarietà delle democrazie atlantiche e che resterà? La gioia di andare in bancarotta assieme a Putin. Quindi No, anche a sospendere qualsiasi ragione politica e morale, una rottura simile sarebbe suicida.
È appena il caso di ricordare che quelle ragioni non si possono sospendere. Che per porre fine alla guerra occorre negoziare e per negoziare occorre piegare Putin. Perché è giusto. Ed è anche nel nostro interesse.
La Ragione