Pierluigi Brustenghi: “La scrittura a mano e i congiuntivi sono le medicine per la mente”

Pierluigi Brustenghi: “La scrittura a mano e i congiuntivi sono le medicine per la mente”

La riscoperta del pensiero lento per contrastare l’iperconnessione e mantenere attiva la creatività cerebrale. Intervista al neuroscienziato Brustenghi

Le medicine più efficaci per la mente sono a costo zero e senza controindicazioni. Chi vuol concedersi un regalo riprenda a scrivere un po’ a mano; non dismetta i congiuntivi; memorizzi qualcosa che gli dia piacere. Sono i suggerimenti con cui il neurologo e psicoterapeuta perugino Pierluigi Brustenghi, trent’anni di esperienza ospedaliera, riempie le sale con le sue conferenze sul cervello per divulgare senza banalizzare, convinto che “come i pesci nuotano nell’acqua gli uomini siano immersi nella narrazione”. Le cronache e la ripresa scolastica centrano il focus sulla “patologia emotiva” dei più giovani e su un dato percepibile a pelle: “Spesso gli adulti non conoscono le emozioni dei ragazzi e viceversa”.

C’è da credere al cosiddetto effetto Flynn inverso, ossia alla riduzione del quoziente intellettivo dopo decenni di crescita nelle nazioni sviluppate?

Un’ipotesi plausibile è che dipenda dall’egemonia della multimedialità, ma in quale misura è difficile stabilire. Uno studio cinese ha rilevato negli adolescenti che trascorrono dieci ore al giorno online un’atrofia cerebrale del venti per cento. Al di là delle ricerche, sappiamo che il cervello si sviluppa lentamente: il lobo frontale, fondamentale per le scelte etiche e i comportamenti, arriva a maturazione a venti, venticinque anni.

Tardi rispetto ai parametri della società attuale.

La società preme per anticipare. È stato così con la patente, con il diritto di voto, ma le neuroscienze dicono un’altra cosa. Lo psicologo Daniel Kahnemann, Nobel per l’economia nel 2002, tracciò la distinzione tra pensieri lenti e veloci. C’è il pensiero di Ulisse e quello di Achille, che a differenza del primo comporta un alto tasso di errore. Perdere la capacità di attesa sta consegnando troppo spazio ad Achille e alla sua impulsività.

Cosa consiglia?

“Festina lente”. Recuperare lo spazio per la riflessione aumenta la capacità di connessione tra le aree corticali e sottocorticali e dà maggiore plasticità al cervello. Le sinapsi cambiano organizzazione ogni volta che impariamo qualcosa, per esempio le parole. Chi è più ricco di parole avrà più successo nella vita. Se è vero che il linguaggio dice chi siamo, le alterazioni dei linguaggi giovanili sono la spia dell’attualità. C’è un uso eccessivo del tempo verbale presente mentre sta scomparendo il modo congiuntivo, che esprime sogni, desideri, possibilità. Non usarlo significa trascurare aree importanti del lobo frontale, con un impoverimento di espressività e comportamenti.

Perché invita a recuperare la penna?

Quando scriviamo a mano attiviamo dodici aree cerebrali, quando digitiamo soltanto una o due. Maria Montessori diceva che la mano è lo strumento espressivo dell’umana intelligenza e il gesto corrisponde all’emozione: la congruità tra mente, emozione e gesto è un obiettivo che dovremmo trasmettere ai giovani. Chi scrive a mano ha una memoria più funzionale e i ragazzi che se ne sono disabituati usano lo stampatello perché il cervello non è allineato all’organizzazione gerarchica delle parole, quindi dei pensieri. Scrivendo a mano bisogna pianificare, eseguire le lettere, correggerle. Si tratta di rivalutare l’embodied cognition: il corpo che modella la mente.

E la lettura digitale?

Se leggiamo su carta favoriamo la capacità riflessiva: sottolineiamo, appuntiamo, tendiamo a tornare indietro laddove la lettura online spinge ad andare avanti. Inoltre l’area corticale visiva è molto sviluppata nei giovani, in particolare la V3 che si attiva per le cose in movimento a discapito della V2 che si attiva per le immagini ferme, perciò chi s’imbottisce di videoclip amplifica la V3 e sarà meno portato a leggere. Non svilupperà il pensiero lento.

C’è un suggerimento che non sia il divieto dello smartphone in classe?

Riconsiderare il mind-wandering, il vagabondaggio della mente, che serve a programmare il futuro e fa da incubatore delle idee. Un insegnante deve sapere che quando un alunno guarda il soffitto sta vivendo quel momento, peraltro inevitabile se la lezione è uno sproloquio.

È il conradiano “quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando”.

Sì, ma ora purtroppo siamo in costante overload. Occorre contemplare il mare, ascoltare musica, rivitalizzare l’embodied cognition. Poniamo scarsa attenzione al sistema nervoso vegetativo, che invece fa da guida nelle scelte ed evita gli errori, come sostiene la teoria di Antonio Damasio sui marcatori somatici. L’iperconnessione ci fa vivere troppo nel chronos e poco nel kairos, i giovani soffrono di deprivazione cronica del sonno che porta all’intasamento delle sinapsi. Dovrebbero dormire nove ore per consentire al cervello di riordinare le cose apprese, potare le inutili e rendersi disponibile per altre acquisizioni. Per la creatività.

Le poesie a memoria servono?

Le capacità mnemoniche devono essere stimolate. C’è quest’idea che il cervello sia un hardware e la mente un software, ma la mente è molto di più e risente di quanto il corpo ha memorizzato. E se l’emozione aiuta a memorizzare, il miglior modo per rianimare i ricordi è riviverli con il ricorso ai sensi, anche se rimemorizzeremo in maniera diversa perché la vita ci ha cambiato e daremo diverso valore alle cose. Non bisogna pensare al tempo come frazionato, ma come un flusso che consente di attingere in retrospezione rimescolando tutto. La memoria è il presente del passato, la visione è il presente del presente, l’attesa è il presente del futuro.

Il Foglio

Share