Dare un giudizio non partigiano su questo governo non ė facile, prima di tutto perché nelle vene italiche scorre da sempre il sangue della partigianeria, di una contrapposizione frontale che si trasforma presto in delegittimazione morale dell’avversario politico. Con tutto quel che ne consegue, in primo luogo il doppiopesismo che porta a vedere la pagliuzza negli occhi degli avversari e non la trave in quella degli amici. In ogni caso, mai come questa volta bisogna seguire la regola che, per dare del governo un giudizio ponderato, è opportuno partire dalle particolari condizioni in cui ha preso vita.
“Contratto” o no, mettere insieme i diversi programmi, e i diversi elettorati di riferimento, di Lega e Cinque Stelle è stata una di quelle “missioni impossibili” che però dovevano giungere a realizzazione non essendoci alternative.
Che un governo non politico, con la prospettiva di nuove elezioni a breve termine, non fosse gradito né dagli elettori né dai mercati, è risultato subito talmente evidente che Mattarella si è visto costretto a ritornare sui suoi passi e a dare l’avallo all’insediamento del professor Conte a Palazzo Chigi. D’altronde, dalla legge elettorale in essere molto di più non ci si poteva attendere, essendo stato da subito chiaro che essa avrebbe portato, come è poi successo, ad uno stallo politico, in un Paese come il nostro già di suo diviso socialmente e geograficamente, e frammentato politicamente.
Che il governo mostri ogni giorno la sua non totale coesione, e anche le sue contraddizioni, è nella logica delle cose. Né le forze politiche che lo contestano su questo punto possono dire di avere le carte in regola per muovere questa critica, non avendo certo dato prova di coesione in passato. Venendo più al concreto, è chiaro che il governo Conte sarà misurato da quanto riuscirà a combinare pure in una situazione così difficile. Non è dubbio che Salvini abbia finora dominato la scena e abbia capitalizzato molto di più di Di Maio. Non c’è da meravigliarsi: per quanto le ideologie siano morte, l’identità forte e definita conta ancora molto in politica.
Lungi dall’essere un partito “populista”, come vorrebbe la vulgata, la Lega è oggi un partito di destra nella sua più verace accezione, forte e netta: quello che in Italia è sempre mancato (non bisogna sottostare alla retorica che ha costruito la sinistra che vorrebbe una destra “vera” costruita a sua immagine e somiglianza). Quella di Salvini è la destra di Rudolph Giuliani, che con un programma basato sulla “tolleranza zero”, e su “legge e ordine”, ha ridato vita, da sindaco di New York, a quartieri della città che sembravano definitivamente caduti sotto il controllo di forze criminali.
Oggi in Italia, il problema che viene vissuto da larga parte della popolazione con maggiore indignazione e preoccupazione, forse ancor più delle difficolta economiche, è il degrado a cui abbiamo consegnato vaste aree del nostro paese, fra l’altro sempre più in aumento. Un degrado che è fatto di collegamenti pubblici inesistenti e mal funzionanti, di strade e edifici che avrebbero bisogno di manutenzione, di una delinquenza che rappresenta per molti giovani, e anche per i nuovi, un punto di riferimento.
Il problema dell’immigrazione, per un popolo che di certo non è razzista, si inserisce in questo orizzonte: l’intolleranza verso lo straniero nasce dalla consapevolezza che oggi non siamo capaci di garantire un minimo di decoro, e di decenza amministrativa, nemmeno agli autoctoni. Non siamo in condizione di essere ospitali e accoglienti. In questo senso, è il momento della destra, e i sondaggi danno ragione a chi sembra muoversi su questa strada.
Certo, la retorica aggressiva di Salvini è a volte irritante, ma è lo stile comunicativo che egli ha scelto e che, come ha detto in un’intervista a Formiche.net Giovanni Orsina, potrebbe anche presto consumarlo per sovraesposizione mediatica. La sinistra, che pure ha storicamente una vocazione popolare, non ha colto questo elemento, questa forte richiesta di ordine che arrivava dalla gente più semplice, restando ancorata a una visione ideologica della politica, manifestatasi in molte scelte dei governi Renzi e Gentiloni.
La vecchia ideologia, marxista, era popolare perché rassicurante: prometteva alle masse un futuro più equo e di riscatto sociale. La nuova, quella dei diritti e del politicamente corretto, ha appeal solo in limitate fasce sociali, per lo più altolocate o globalizzate.
Oggi è tempo invece di essere pragmatici, non ideologici: conta, in politica, l’impegno a risolvere problemi concreti. Su questi, gli elettori del nuovo governo si aspettano qualche risultato. Un fallimento da questo punto di vista non sarebbe perdonato. Salvini lo sa e per questo batte i pugni, per far capire che almeno lui non è un bluff come si sono dimostrati i tanti “novatori” che si sono affacciati sulla scena politica negli ultimi tre decenni.
Piuttosto che soggiogato dal populismo, come vorrebbe certa retorica, l’elettore italiano si è fatto esigente e molto impaziente. I consensi di oggi possono facilmente trasformarsi nell’astio e nel rancore di domani.
Corrado Ocone, formiche.net 1 luglio 2018