Gli Stati Uniti e la Russia hanno ieri avviato una serie di incontri per definire la grave situazione in Ucraina e per discutere del cosiddetto “ultimatum” presentato dal Cremlino agli Stati Uniti e alla Nato.
Gli incontri si terranno nei giorni del 10,12 e 13 gennaio 2022.
Dopo il primo incontro del 10 gennaio, l’agenda prevede di allargare il confronto alla Nato – oggi a Bruxelles – e domani all’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, organismo con sede a Vienna e di cui fanno parte anche la stessa Russia e l’Ucraina.
In questi formati le divergenze sui punti più complicati del confronto sono ovviamente destinate a esplodere.
La posta in gioco è altissima.
Dopo aver mobilitato ai confini dell’Ucraina forze che l’intelligence occidentale ha calcolato in 100.000 uomini, dicendosi allarmata dal potenziamento della forza militare ucraina e da quella che considera un’espansione strisciante e aggressiva della Nato verso i propri confini, a metà dicembre Mosca ha messo nero su bianco le proprie richieste.
Lanciando anche allarmi sul rischio di «provocazioni» da parte di Kiev nel Donbass occupato dai separatisti filo-russi di Donetsk e Luhansk.
Avvertimenti che gli Stati Uniti e l’Unione Europea leggono come una minaccia di invasione, o comunque di un colpo di mano nel Donbass a otto anni dall’annessione della Crimea alla Federazione Russa.
Nel dicembre 2021, dopo aver allarmato Washington e l’Europa con la minaccia di invasione dell’Ucraina, Putin ha chiesto un’udienza al presidente Joe Biden.
I due capi di Stato hanno parlato per due ore il 7 dicembre in videoconferenza.
Biden ha promesso di lanciare un pesante pacchetto di sanzioni contro la Russia, posizionare più armi in Ucraina e aumentare la presenza della NATO nell’Europa orientale, se Putin dovesse invaderla di nuovo.
L’amministrazione Biden, la Nato e l’UE hanno pèrò precisato, fin da subito, di non prendere in considerazione un intervento militare diretto in caso di invasione dell’Ucraina.
L’amministrazione Usa ha cercato di calmare le acque e rinviare la trattativa, ma non ha funzionato.
Il numero delle forze russe al confine con l’Ucraina continua quotidianamente ad aumentare.
Pochi giorni dopo la videochiamata, la Russia ha lanciato il suo ultimatum: ha presentato due bozze di trattato, una tra Russia e Stati Uniti e una l’altra tra Russia e NATO.
Le proposte presentate da Putin, contengono ampie concessioni e garanzie alla Russia e soprattutto la richiesta di addivenire alla stesura di un accordo giuridicamente vincolante per le parti.
Il documento delinea due accordi legali; uno tra Stati Uniti e Russia, l’altro tra NATO e Russia.
L’accordo con Washington prevede che gli Stati Uniti si impegnino a non espandersi verso est della NATO e rifiutino l’eventuale futura ammissione di Stati appartenenti all’ex Unione Sovietica.
La parte rilevante dell’accordo con la NATO copre temi simili ma è formulata in modo leggermente diverso; i membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) si assumono la responsabilità di vietare l’ulteriore espansione della NATO, inclusa l’Ucraina e altri stati (il primo riferimento è alla Georgia).
Sia la versione NATO che quella statunitense dell’accordo vietano il dispiegamento di armi straniere e l’istituzione di basi militari straniere, occidentali o russe, in Ucraina e nell’ex sfera sovietica.
Il documento vieta altresì il dispiegamento di ulteriori forze NATO al di fuori dei territori in cui si trovavano prima dell’allargamento ad est della NATO, nel maggio 1997, salvo circostanze eccezionali e salvo accordo di entrambe le parti.
In pratica si tornerebbe alla situazione ex ante 1997.
Una strada già così lunga si è ora resa ancora più impervia dalla situazione in Kazakhstan, una crisi esplosa improvvisamente proprio alla vigilia dei negoziati per l’Ucraina.
Dopo l’intervento dei parà russi in risposta all’appello del presidente Kassym-Jomart Tokajev, Putin spera forse di poter dimostrare che di fronte a un nuovo focolaio in Asia Centrale, la sua presenza è cruciale per mantenere la stabilità.
il 10 gennaio scorso nel corso dei colloqui con gli Usa a Ginevra, la Russia non avrebbe dato risposta sulla richiesta di una de-escalation ai confini.
Hanno parlato per sette ore e mezza, e se l’obiettivo della giornata era chiarirsi a vicenda le rispettive posizioni e dare alla diplomazia l’opportunità di avvicinarle, alla conclusione dei colloqui di Ginevra tra russi e americani sulla questione ucraina e la sicurezza in Europa si potrebbe dire che la missione è stata compiuta. Riferendo separatamente alla stampa l’esito dei colloqui, sia il viceministro russo Sergej Rjabkov che il sottosegretario di Stato americano Wendy Sherman si sono detti pronti a proseguire sulla strada del dialogo.
Tra le sue “linee rosse”, ribadite a Ginevra da Rjabkov, il Cremlino ha inserito la rinuncia da parte della NATO a ogni ulteriore avanzamento verso Est, ma soprattutto la conclusione di ogni attività dell’Alleanza Atlantica nei Paesi dell’Europa orientale: divenuti membri della NATO dopo il 1997, a dispetto – ripete Vladimir Putin – delle assicurazioni che ciò non sarebbe avvenuto.
Intanto, nessuno sembra essersi mosso di un millimetro dalle posizioni iniziali.
Mosca continua sulla sua strada accusando gli Usa e la Nato di aver provocato la crisi e trasferisce ancora elicotteri militari al confine con l’Ucraina: un possibile segnale che i piani per un attacco continuano, nonostante i colloqui in Europa con Usa, Nato e Osce.
Anche senza alcuna concessione americana, i colloqui di lunedì hanno già rappresentato una sorta di vittoria per il Cremlino perché hanno portato la questione dell’espansione della NATO, che ha a lungo irritato Putin.
Ma da dove nasce la visione di Putin sull’Ucraina?
La Russia ha intensificato la sua retorica dopo il saggio estivo di Putin che negava il concetto stesso di sovranità dell’Ucraina e rivendicava le “terre storiche” russe. “Putin sostiene che russi e ucraini sono la stessa cosa, mette in dubbio la legittimità dei confini dell’Ucraina e postula che l’Ucraina moderna poggi sulle terre storiche della Russia. Da allora, ha affermato, che non importa chi guida l’Ucraina, dal momento che è al comando una minoranza nazionalista aggressiva. Dmitry Medvedev, l’ex presidente e primo ministro russo, ha preso carta e penna e ha detto che impegnarsi con i leader ucraini è “inutile” poiché l’identità ucraina è falsa e il paese è sotto controllo straniero”.
La Russia ha annesso la penisola ucraina della Crimea e ha fomentato una guerra separatista nell’est del paese dopo la rivoluzione filo-occidentale a Kiev, la capitale dell’Ucraina, nel 2014.
La guerra nell’Ucraina orientale continua a ribollire, avendo causato più di 13.000 vittime ucraine da entrambe le parti .
Spetta ora all’Occidente rispondere con maggiore saggezza.
È tempo di dare ai diplomatici l’opportunità di raccogliere la vera sfida di questa generazione: costruire un accordo post-guerra fredda, i cui benefici sarebbero letteralmente incalcolabili: l’economia dell’Europa e dell’Eurasia prospererebbero dall’avere una fornitura energetica sicura e stabile, nonché mercati nuovi e vicini in cui espandersi.
In assenza di una nuova visione audace, sicuramente si resusciterà la Guerra Fredda, se saremo fortunati; o sarà veramente combattuta, se non lo saremo.