Prime riflessioni sul DDL “Scudo Democratico”

Prime riflessioni sul DDL “Scudo Democratico”

“Tutela della democrazia” o minaccia alla libertà?

Il Disegno di Legge “Scudo Democratico”, proposto dai senatori Lombardo, Calenda, Richetti e Rosato, tutti di Azione, si propone di difendere il sistema elettorale italiano da interferenze esterne e campagne di disinformazione. Un proposito nobile sulla carta, ma che, letto tra le righe del DDL, solleva questioni spinose: chi decide cosa è vero e cosa è falso? E soprattutto, chi vigila sui controllori?

Il rischio che questo provvedimento possa tradursi in un bavaglio all’informazione è tutt’altro che teorico. Nella storia recente abbiamo assistito a numerosi esempi in cui strumenti pensati per “proteggere” la democrazia si sono trasformati in strumenti di censura, soffocando il dissenso e alterando il libero mercato delle idee. La democrazia non si difende limitando la libertà d’espressione, ma garantendo il pluralismo e il confronto critico.

La sottile linea tra tutela e censura

Il DDL introdurrebbe un “comitato di analisi” che, in collaborazione con l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), avrebbe il compito di monitorare e, se necessario, etichettare o rimuovere contenuti ritenuti fuorvianti. Ma chi stabilisce il confine tra un’opinione controversa e una notizia falsa? E chi garantisce che questo non si trasformi in un meccanismo di selezione delle informazioni favorevoli a chi è al potere?

L’AGCOM, a sua volta, avrebbe poteri di supervisione e di sanzione nei confronti delle aziende che non implementino le misure richieste. Questo solleva un’altra questione critica: è opportuno affidare a un’agenzia amministrativa poteri così estesi nella regolamentazione dell’informazione politica? Il rischio evidente è che le decisioni dell’AGCOM potrebbero essere influenzate da pressioni politiche, creando una pericolosa commistione tra regolazione e controllo dell’opinione pubblica.

Come scriveva George Orwell in 1984, “La libertà è la libertà di dire che due più due fa quattro. Concesso questo, tutto il resto ne consegue”. Il pericolo di delegare a un’autorità il compito di determinare ciò che può o non può essere discusso è che, a lungo termine, la verità diventi solo quella sancita dall’alto.

Le distorsioni nel mercato dell’informazione

Un altro elemento critico riguarda il ruolo delle piattaforme digitali. Queste, secondo il DDL, sarebbero obbligate a conformarsi ai criteri stabiliti dai comitati di analisi, introducendo filtri, avvisi e persino la rimozione preventiva dei contenuti ritenuti “pericolosi”. Questo non solo crea un sistema di controllo pervasivo, ma altera anche il mercato dell’informazione.

Luigi Einaudi, nelle sue “Prediche inutili”, ammoniva: “Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare”, evidenziando come il buon funzionamento della democrazia dipenda dall’accesso a informazioni plurali e non filtrate da una mano invisibile. Imporre regole troppo rigide sui contenuti digitali significa consegnare ai grandi attori della rete, ma anche -come nel caso di questo DDL- all’apparato governativo, un potere assoluto e arbitrario, soffocando il vero giornalismo e soprattutto le voci critiche. I social media, già oggi soggetti a logiche algoritmiche che premiano la viralità rispetto alla qualità, potrebbero paradossalmente diventare strumenti di controllo piuttosto che di dibattito.

Le cause di invalidità delle elezioni: una pericolosa estensione

Un aspetto particolarmente critico del DDL è la possibilità di sospendere o annullare le elezioni in caso di “ingerenza esterna” accertata. Una misura estrema che solleva domande allarmanti: chi decide quando un’elezione è stata “compromessa”? Quale sarebbe il livello di “compromissione accettabile”? Con quali criteri si stabilisce che la volontà popolare sia stata alterata al punto da invalidarla?

La normativa vigente già prevede che un’elezione possa essere annullata in presenza di irregolarità gravi che incidano direttamente sulla libertà di voto, come brogli elettorali, coercizione degli elettori o manipolazione dei risultati. In particolare, per quanto concerne le elezioni politiche, la Camera e il Senato giudicano sulla validità dell’elezione dei propri membri attraverso le rispettive Giunte delle Elezioni, che possono invalidare il risultato; per ciò che riguarda le elezioni europee, invece, si può presentare ricorso al TAR, che può annullare l’elezione in caso di gravi violazioni. Le decisioni del TAR sono sempre sottoponibili al vaglio del Consiglio di Stato.

Inoltre, l’Ordinamento prevede alcuni reati, disciplinati dal Codice Penale, come “Frode elettorale” (art. 96 c.p.); “Violenza o minaccia contro elettori” (art. 97 c.p.); “Corruzione elettorale” (art. 98 c.p.). In caso di accertamento di gravi illeciti, un’elezione può essere annullata su disposizione della magistratura.

Tuttavia, queste cause di invalidità richiedono fatti concreti e dimostrabili che abbiano compromesso in modo sostanziale la regolarità del voto e che vengono accertati attraverso ricorsi amministrativi, procedimenti penali per reati elettorali o decisioni delle Giunte parlamentari. In tutti i casi tutte le parti godono pienamente del diritto di difesa previsto dall’art. 24 della Costituzione.

Il DDL, invece, introduce un concetto più vago: la propaganda preelettorale potrebbe diventare un motivo di sospensione delle consultazioni elettorali o di contestazione del voto già espresso. Questo è estremamente rischioso, poiché la propaganda politica è per sua natura un campo caratterizzato da toni accesi, strategie persuasive e talvolta da informazioni volutamente parziali o di parte. Se si conferisse a un’autorità il potere di decidere ex ante o peggio ex post, che un certo livello di propaganda possa giustificare l’annullamento del voto, si rischierebbe di scivolare in una zona grigia pericolosa, dove la distinzione tra “influenza indebita” e normale dibattito democratico diventa ambigua. Già oggi esistono regole per disciplinarla, ma esse non incidono sulla validità dell’elezione.

Estendere il concetto di “inquinamento del processo elettorale” fino a ricomprendere anche la disinformazione, potrebbe portare a contese infinite e un’instabilità politica cronica, con il rischio che qualunque elezione possa essere contestata e annullata con il pretesto di una campagna ritenuta scorretta.

L’insidia della pena detentiva e la possibile strumentalizzazione

Il DDL in commento per chiunque compia attività di disinformazione o ingerenza esterna volte ad alterare la competizione politica o a compromettere l’integrità del processo democratico prevede una sanzione amministrativa particolare alta (da 50.000 a 20 milioni di euro) e la reclusione da uno a sei anni.

L’applicazione di pene detentive superiori a cinque anni implica la possibilità di utilizzare strumenti investigativi come le intercettazioni telefoniche e telematiche. Se la disinformazione viene considerata un reato grave, è plausibile se non probabile che le autorità possano ricorrere a intercettazioni per individuare i responsabili. Tuttavia, questo non può non sollevare questioni di proporzionalità e tutela della privacy, soprattutto se l’ambito di applicazione della norma resta vago.

Il vero scudo democratico è il pluralismo

La lotta alla disinformazione è cruciale, ma il modo in cui viene combattuta fa la differenza tra una democrazia sana e un sistema repressivo. Un DDL come quello paradossalmente intitolato “Scudo Democratico”, sebbene animato da buone intenzioni, rischia di aprire la strada a forme di censura istituzionalizzate e terribilmente pervasive.

Piuttosto che creare comitati di controllo con poteri discrezionali, sarebbe più utile investire in educazione civica e alfabetizzazione digitale, fornendo ai cittadini gli strumenti per riconoscere la disinformazione in autonomia. Un’informazione libera e pluralista è il miglior antidoto contro la propaganda.

Come affermava Einaudi, supportato dal pensiero di John Milton e John Stuart Mill: “Il mercato delle idee deve rimanere aperto, perché solo il confronto e la libertà possono generare progresso e verità”. Se vogliamo davvero difendere la democrazia, dobbiamo assicurarci che ogni voce possa essere ascoltata, non che alcune vengano silenziate per decreto o, peggio, per decisione di comitati.

Centro Studi Livatino

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