In Italia, la cosa è risaputa, ci sono 350 miliardi di prestiti traballanti. La Banca Centrale Europea è lì con il fucile spianato rivolto al nostro sistema creditizio, proprio per questa montagna di quattrini che potrebbero non ritornare a casa.
Non sono tutti perduti. Quelli più a rischio, quelli che un tempo si chiamavano sofferenze e oggi Npl (non performing loans) si aggirano a quota 200 miliardi. Le banche non sono state ferme. Le quasi 700 banche italiane ogni anno hanno messo da parte quattrini per affrontare la botta. Per farla semplice, oggi 85 miliardi di prestiti non sono coperti dagli accantonamenti fatti dalle banche negli anni passati.
Questo è il vero buco nero del nostro sistema creditizio. Questa è la cifra da tenere a mente. A ciò si aggiunga che a Francoforte ci dicono di fare in fretta. Insomma si richiede alle nostre banche di fare pulizia, ma velocemente. Come sempre l’urgenza costa. E oggi il mercato, i fondi, si stima possano comprare questa merce al 20 per cento circa del loro valore.
Il che vuole dire che su 200 miliardi di euro le banche potrebbero incassare, vendendo tutto ai fondi specializzati (ipotesi remota), circa 40 miliardi di euro. Il resto (la differenza tra 85 e 40) dovrebbe diventare perdita nel conto economico. Possono le banche italiane sopportare un rosso di 45 miliardi? No. È roba da libri in tribunale: né le più grandi, né le più piccole hanno le risorse per fare fronte così velocemente ad una pulizia di bilancio.
La Bce preme senza scrupoli e riverenze, come si è visto con le richieste fatte alla nuova aggregazione tra Banco Popolare e Bpm, ma anche i fondi si leccano i baffi. Comprare a 40 un portafoglio nominale di 200, può volere dire fare grandi affari.
Una via di scampo ci sarebbe. Ieri ad un incontro organizzato da Prelios, un’azienda che ora si occupa di mettere un po’ d’ordine nei crediti in sofferenza delle banche, sono uscite alcune idee che val la pena condividere. Facciamola semplice. Se le banche conoscessero davvero a chi hanno prestato i soldi potrebbero vendere a prezzi migliori.
Una banca, per di più del sud, come la Popolare di Bari, ha venduto una bella fetta dei suoi prestiti compromessi al 31 per cento del loro valore. Come è possibile? Semplice: non ha venduto un portafoglio a caso ma ha fatto un’analisi puntuale di cosa vendeva con Prelios e Moody’s (che poi ha anche dato un rating) e ha spuntato dal mercato un prezzo superiore.
La cosa in fondo è banale. Se devo comprare un biglietto per una riffa, sono disposto a pagare un prezzo più alto, quanto più so cosa c’è in palio. Se mi dicono di comprare un biglietto, senza dirmi esattamente cosa posso portarmi a casa, il prezzo a cui sono disposto a pagarlo cala considerevolmente.
Insomma, la morale è che Bce e regolatori ci stanno mettendo un cappio al collo. Ma anche il nostro sistema creditizio ha le sue grandi colpe. Non solo in ciò che tutti dicono, e cioè che ha prestato facile. Ma non ha nemmeno un data base chiaro e verificabile di ciò che gli è restato in casa. Oggi le banche sono di fatto i più grandi detentori di immobili in Italia, ma non sanno esattamente cosa hanno.
Il direttore generale della Popolare di Bari ieri raccontava di come i software bancari neanche prevedano specifiche fondamentali per capire la qualità di un bene, come ad esempio il piano in cui è collocato. Talvolta si vendono crediti assistiti da appartamenti a prezzi ridicoli, senza considerare le pertinenze. Per il numero uno di Prelios, Riccardo Serrini, l’81 per cento della montagna di Npl proviene da attività business.
Il che vuol dire che trattare le nostre sofferenze con cura, non cederle all’ingrosso ai fondi, magari affittarle nei tempi di attesa, non solo comporta un vantaggio economico per le banche, ma anche per il sistema economico e industriale nel suo complesso.
Nicola Porro, Il Giornale 19 novembre 2016