Errare è umano ma perseverare è diabolico. A pochi giorni da un attacco del Commissario Ue Gunther Oettinger sui contributi che il nostro Paese (non) verserebbe alla Ue (con cifre contraddette dai dati ufficiali), il nostro euro censore si è prodigato in un nuovo affondo ieri, in un’intervista al quotidiano tedesco Die Welt. Questa volta è andato ancora più lontano, ha minacciato l’Italia di sanzioni, mettendo in guardia dal sovrapporre la questione migratoria con quella del bilancio. Come se Margaret Thatcher che, negli anni Ottanta, battagliò come una leonessa sul bilancio del Regno Unito a Bruxelles, subordinandolo a una serie di altri dossier, non facesse politica e potesse esser zittita intimandole una multa.
Il nostro Oettinger si era fatto già notare, ai tempi della Commissione Barroso, quando aveva chiesto un commissariamento formale per la Grecia (forse con trasbordo del governo ellenico direttamente a Berlino?) e soprattutto quando aveva affermato che i paesi con deficit eccessivo esponessero le loro bandiere nazionali a mezz’asta. Non capisce che, così facendo, egli rischia che non solo a mezz’asta, ma vilipesa ci finisca la bandiera europea. Nelle sue affermazioni quasi auto-parodistiche Oettinger incarna bene sì, come abbiano accennato, l’Europa dei tecnocrati, l’Europa della policy e non delle politics, l’Europa della gestione rigida ed egoista.
Una gestione rigida in applicazione di parametri che Bettino Craxi, riferendosi a quelli di Maastricht, diceva che «non si compongono di regole divine. Non stanno scritti nella Bibbia. Non sono un’appendice ai dieci comandamenti». Insomma, l’Europa cinica del commissario sembra purtroppo andare in direzione opposta a quella fondata sulla «solidarietà fra popoli, Paesi e istituzioni» evocata dal nostro Presidente Mattarella. Un pensiero di largo respiro che andrebbe sostenuto con i fatti dai partner della Ue. Ma Oettinger incarna poi soprattutto altro, cioè l’Europa tedesca, quella dell’austerità eretta a dogma, secondo lo spirito che tanti classici tedeschi, da Goethe a Nietzsche a Mann, hanno rimproverato all’«anima germanica».
Ebbene, nel nuovo bipolarismo europeo che si sta definendo, l’Europa delle nazioni di Salvini e di Orban (e di Kurz) contro quella federalista e progressista di Macron, Oettinger sta sicuramente nel campo del presidente francese. Ma addirittura andando oltre. Non a caso, nell’intervista di ieri ha speso parole di grande elogio per l’Eliseo. Ovvio che l’Europa dei tecnocrati e dell’austerità parteggi per Macron: sa che il nucleo duro dell’egemonia tecnocratica non sarà toccato. A parole infatti il presidente francese dipinge un nuovo sogno europeo, ma di fatto egli capisce benissimo che la Francia non ha la forza per contrapporsi al modello tedesco. Per farlo dovrebbe intervenire con misure lacrime sangue sullo Stato francese e le sue spese: cosa che Macron aveva promesso, ma che ovviamente ben si guarderà dal fare, conoscendo bene i francesi e sapendo che farebbero barricate davanti all’Eliseo. Anzi il deficit francese con Macron è pure cresciuto: pare infatti che sforerà il tetto del 3%, altro totem dell’Europa contabile, nato più o meno per caso, come spiega l’economista Ashoka Mody nel recente EuroTragedy (Oxford University press). Alla fine l’Europa «progressista» e «riformista» di Macron viene scardinata da quella cruda e prosaica di Oettinger, con evidenti danni all’idea di una casa comune solidale ed equa.
Un’Europa che invece oggi non riesce a gestire la questione migratoria e la cui moneta si regge sul Qe della Bce. Ed ecco, dunque, lo scenario che si profila all’orizzonte: finché l’Europa avrà la voce e le argomentazioni del Commissario tedesco, «l’altra Europa», quella di Orban, di Salvini, dei partiti sovranisti, si vedrà la strada spianata.
Marco Gervasoni, Il Messaggero 30 agosto 2018