“Questa è una riforma del ‘riformeremo’”. “Questo non è un taglio di parlamentari, è un taglio di democrazia”. Non usa mezzi termini Giuseppe Benedetto – Presidente della Fondazione Luigi Einaudi e promotore della raccolta firme per il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari – per bollare il quesito referendario. Per Benedetto “si tratta di due visioni contrapposte della realtà: l’uno vale uno contro l’uno vale tutto”.
Presidente Benedetto, il Comitato del No è contrario in generale alla riduzione del numero dei parlamentari o solo al taglio riconducibile a questa Riforma? E perché con questa Riforma ritenete non vi siano benefici dal punto di vista di un miglioramento del procedimento legislativo?
Con il taglio dei parlamentari è stata commessa una violenza nei confronti degli italiani: questo è stato il motivo che ha spinto la Fondazione Einaudi a promuovere la raccolta delle firme per indire il referendum. Una battaglia vinta. Adesso ci attende l’ultima, per fermare una modifica che è fine a se stessa o, meglio, al populismo: un taglio non inserito in nessun contesto di riforma costituzionale, al solo scopo di umiliare la politica, come Beppe Grillo e Davide Casaleggio affermano. Un’onestà che va loro riconosciuta.
Questione costi: perché pensate che questa Riforma non porti un risparmio significativo alle casse dello Stato?
Non è un tema, è un pretesto, semmai. Come ha dettagliatamente e approfonditamente illustrato Carlo Cottarelli, il risparmio sarebbe di 57 milioni di euro all’anno: praticamente un caffè a testa per ogni italiano. Gli stessi grillini, nell’opporsi al referendum Renzi parlavano, ridicolizzandolo, del risparmio di un caffè all’anno per italiano. Poi, aggiungo, che se l’esigenza è risparmiare sui costi della politica, meglio risparmiare sull’indennità dei parlamentari che sulla qualità della democrazia: non ho sentito questo tema al centro del dibattito. Nella malaugurata ipotesi della vittoria del Sì basterebbero 247 deputati e 134 Senatori per modificare, praticamente ad libitum, la Costituzione, senza possibilità alcuna per i cittadini di potersi esprimere con un Referendum. E tutto, ripeto, al costo di un caffè.
Come cambia il rapporto eletto-elettore anche in relazione agli altri Paesi europei? È vero che determinati territori rischieranno di trovare meno rappresentanza in Parlamento?
Questo non è un taglio di parlamentari, è un taglio di democrazia. Così effettuato, in maniera lineare e non inserito in alcuna riforma organica, evidenzia lo squilibrio che si va a creare in un sistema articolato come quello della Costituzione italiana. Diventeremo il 27° Paese dell’Unione Europea nel rapporto tra elettori ed eletti, gli ultimi. E non è neanche vero che qualità e libertà degli eletti non cambino, ove si pensi che meno parlamentari sono sicuramente più controllabili dai vertici dei partiti. Mi sembra che l’eventuale minore rappresentanza non sia un tema che interessi a chi vota Sì.
Il combinato disposto tra Riforma costituzionale e Rosatellum è un pericolo per la democraticità del sistema?
Il Rosatellum, se dovesse prevalere il Sì, è un pericolo. Gli stessi sostenitori del Sì oramai non parlano più della riforma costituzionale, ma di ciò che faranno cambiando la legge elettorale: questa è la “riforma del riformeremo”! È un modo schizofrenico di procedere, soprattutto quando si parla del delicato tema di modificare la carta fondante del nostro Paese. Nei giorni scorsi il nuovo presidente della Corte Costituzionale ha parlato, nel suo discorso di insediamento, delle riforme che il Parlamento “dovrà fare”. Il Parlamento dovrà fare? Ma chi glielo ordina? E cosa accade se il Parlamento non lo fa, la Corte sanziona? Le leggi dovrebbe farle il Parlamento, nella sua autonomia. Questo taglio ha creato un caos incredibile, in cui tutti intervengono, ma “tutti non decidono nulla!”
In definitiva, quali sono schematicamente i vostri motivi per cui dire No alla Riforma?
La posta in gioco è molto alta. Si tratta di due visioni contrapposte della società. Da un lato c’è chi cerca, ormai disperatamente, di far rivivere una stagione superata. Quella del “vaffa”, dell’umiliazione della politica, del ridimensionamento sino all’annullamento dello stesso concetto di rappresentanza. In nome di una c.d. democrazia diretta, che ben si sintetizza nello slogan “uno vale uno”. Dall’altro lato c’è la società aperta, quella per la quale “uno vale tutto”, per la quale l’uomo è al centro di un consesso sociale dove qualità, merito e sacrificio vanno premiati. Dove va salvaguardata la einaudiana uguaglianza dei punti di partenza, per crescere liberamente, gioiosamente diseguali.
Piero Tatafiore