Resistere, resistere, resistere… alle pressioni di chi vuole strappare il cuore alla Separazione delle carriere

Resistere, resistere, resistere… alle pressioni di chi vuole strappare il cuore alla Separazione delle carriere

Resistere, resistere, resistere. Il ministro Carlo Nordio è asserragliato a via Arenula, protetto dalla guardia pretoria di Forza Italia comandata dal viceministro Francesco Paolo Sisto e insidiato da nemici tanto esterni quanto interni al suo dicastero. C’è la farà? Riuscirà il ministro della Giustizia a resistere alle pressioni, sia a quelle evidenti e macroscopiche, sia a quelle occulte e sottili, di chi in queste ore si sta adoperando con ogni mezzo per scardinare la riforma sulla separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti?

Oggetto del contendere non è la riforma in quanto tale, ma la norma che della riforma rappresenta il cuore pulsante: lo sdoppiamento del Consiglio superiore della magistratura. Prevedere, come fa il Disegno di legge Nordio, due Csm è infatti l’unica maniera per spezzare la catena di interessi personali declinati in forma di carriere che da sempre fa di giudici e pubblici ministeri un’unica corporazione usa spartirsi le cariche e gli incarichi con logica da cosca. Leggere il libro-intervista dell’ex presidente dell’associazione nazionale magistrati Luca Palamara per convincersene.

Prevedere due Consigli superiori della magistratura, i cui membri togati vengono indicati per sorteggio come nella Atene di Pericle, significa scardinare un sistema di potere ormai consolidato. Ovvio che i diretti interessati facciano di tutto per evitarlo, e quel “di tutto” comincia ad allarmare anche gli uomini di governo più vicini a Giorgia Meloni. Primo tra tutti, il potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, ex magistrato. Forte della sponda con i magistrati distaccati a via Arenula e strategicamente dislocati nei gangli vitali del ministero della Giustizia, Mantovano starebbe esercitando tutte le pressioni di cui è capace per rivedere la norma sul doppio Csm.

L’Associazione nazionale magistrati fa, ovviamente, il tifo per lui. E non c’è da illudersi su quale sarà l’atteggiamento del neo presidente Cesare Parodi. È vero che il procuratore aggiunto di Torino appartiene alla corrente moderata di Magistratura indipendente, ma la natura delle correnti conta ormai poco e ancor meno contano ormai le inclinazioni politiche dei singoli magistrati: la magistratura organizzata è divenuta un corpo unico, compattamente determinato a preservare il proprio potere discrezionale sugli incarichi e gli assetti dell’ordine giudiziario.

Nei giorni scorsi è circolata la voce che l’offensiva avesse avuto successo e che il ministro fosse pronto a capitolare sul Csm. Non era vero. Chi, col fiato sospeso, ha telefonato a Carlo Nordio chiedendo spiegazioni si è sentito rassicurare: “Ma quando mai? Nessun cedimento c’è stato né
ci sarà”. Sollievo tra i garantisti, e in modo particolare tra i ranghi di Forza Italia, che questa riforma l’ha voluta più di tutti. Paradossalmente, è diventata la riforma di Giorgia Meloni. Ora che l’autonomia differenziata cara alla Lega è stata fatta a pezzi dalla Consulta e il premierato caro Fratelli d’Italia è finito su un binario morto per paura del referendum, l’unica riforma di sistema che i partiti della maggioranza e il governo potranno esibire all’elettorato è, infatti, quella sulla separazione delle carriere.

Semmai dovesse saltare la norma sullo sdoppiamento del Csm, esibirebbero una scatola vuota. A chi gioverebbe farlo? Naturalmente, la partita non è finita. La riforma deve ancora approvata da un ramo del parlamento e se dovesse vedere la luce così com’è le resistenze corporative si scateneranno nel buio del ministero quando sarà il momento di scrivere i relativi decreti attuativi. È successo anche con la riforma Cartabia, in buona parte smontata dai magistrati in servizio permanente effettivo presso il ministero della Giustizia.

HuffingtonPost

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