Si sono create le condizioni per un passo avanti. Bisogna ora essere conseguenti, occorrendo un’intesa con la Commissione europea, che detiene il potere dell’iniziativa legislativa. Sarebbe una svolta vera, la cui novità consiste nell’assenza di novità e la presenza di nuove volontà.
L’immigrazione non è un’emergenza, non richiede misure temporanee, ma una questione che resterà critica, richiede piani a lunga scadenza e misure permanenti. Anche quelle approvate ieri dal Consiglio dei ministri sono utili a tamponare e segnalare, ma inadatte ad affrontare quel che ha una scala ben diversa.
I lati positivi sono due: 1. Meloni, a parte i toni e il comprensibile uso di fumogeni, riconosce l’inconsistenza di molte delle cose prima sostenute e afferma che lo strumento da utilizzarsi sono i rimpatri, non i ricollocamenti (vale a dire la distribuzione degli sbarcati in altri Paesi Ue), ripetendo che servono accordi con i Paesi del Nordafrica, ovvero il lavoro che stava facendo Minniti, quando era ministro degli interni, e che la dissennatezza sinistra ha misconosciuto anziché rivendicare; 2. Von der Leyen copre ancora una volta il governo italiano – dopo averlo fatto con la Tunisia (ricevendo critiche) – e segnatamente Meloni, giacché nessuno è così ingenuo da non cogliere il nesso della sua presenza a Lampedusa con lo spettacolo opposto che andava in scena a Pontida (il che ha costretto Salvini a non esagerare ulteriormente il consueto linguaggio).
I dieci punti illustrati a Lampedusa non contengono novità, ma ne sono la possibile premessa. La missione navale si è già fatta e rifarla significa rifare quanto già attuato. I contributi (soldi) Ue per le identificazioni e gli spostamenti secondari ci sono già stati e si prolungano. Gli accordi con i Paesi d’origine già approntati e già claudicanti. Il contrasto agli scafisti è ovvio (a quelli che credono sia una novità l’affondamento dei barchini dedichiamo i filmati delle Ong che documentarono il taglio dei gommoni, dopo i salvataggi). I corridoi umanitari sono giusti, ma non funzionano senza protezione armata. I ritorni volontari, alla sponda di partenza, sono e restano immaginazione. Quindi si passa alla parte rilevante: identificazioni rapide e rimpatri. Quello è il punto decisivo.
Se si vuole che funzionino occorre che la domanda d’asilo non sia rivolta all’Italia, alla Spagna o alla Polonia ma all’Unione europea e che siano le autorità comuni a rispondere. È il lavoro più difficile, nel quale è scontato che si commetteranno errori e ingiustizie, ma è anche un lavoro impossibile se svolto sotto il dominio delle giurisdizioni nazionali. Da noi il respingimento è un atto amministrativo, ricorribile al Tar, con tanti saluti. Nessuno potrà mai essere rimpatriato se non sarà stata prima respinta la richiesta d’ingresso, tanto che al governo – non potendo accorciare i tempi di risposta – allungano quelli di trattenimento (18 mesi). Intanto altri arriveranno. Per cambiare occorre che vi sia una giurisdizione unica specifica, restando extraterritoriale l’area in cui è collocato chi è in attesa.
Occorre che ciascuno Stato dell’Ue ceda sovranità all’Ue. Essendo il solo modo per riuscire a difendere la sovranità territoriale in tema di ondate d’immigrazione. Questo è l’interesse patrio e soltanto così potremo veramente «decidere noi chi entra», avendo interesse permanente a farlo entrare. Ogni altra strada o devasta il diritto, non riconoscendo i profughi, o resta inutilmente declamatoria. Ed è così, con un clima sempre più pesante, in tutta Ue e non solo da noi.
Per governare problemi grandi e drammatici non basta avere i voti, serve anche il coinvolgimento dei cittadini, il loro essere consapevoli di quale sia la partita in corso. Avere avvelenato le democrazie con assurdità vaporose di bontà o digrignanti blocchi non è soltanto del tutto inutile, ma anche nocivo. La propaganda ha le sue esigenze, il che vale per noi come per il ministro francese e tanti suoi colleghi. Ma la sostanza prevale. E quando la propaganda nuoce alla sostanza si chiama irresponsabilità.
La Ragione