Il Patto di stabilità e crescita, che contiene le regole di bilancio cui i Paesi dell’Unione europea devono attenersi, è stato sospeso durante l’emergenza pandemica e tornerà in vigore una volta iniziato il 2024. Sul punto c’è un equivoco: è stato sospeso il Patto, mica la realtà. La prima cosa è alla portata dei governi, la seconda no. In emergenza si è potuto spendere di più, accrescendo deficit e debito, senza incorrere in vincoli interni, ma quei vincoli mica erano stati elaborati per la gioia di coltivare bonsai economici, bensì per evitare che deficit e debiti eccessivi squilibrino il mercato interno e sfondino le dighe che difendono dalle alluvioni speculative. Quindi il Patto era sospeso, ma i problemi e i costi dei debiti crescenti sono lì a ricordarci il peso della realtà.
Analogo effetto hanno le richieste di questa o quella spesa, sempre nobilmente indirizzata (da ultimo quella relativa agli aiuti all’Ucraina), in “deroga” al Patto: evita la contestazione dell’ufficio, ma non evita per nulla la conseguenza sul bilancio e sugli acquirenti di debito.
Lo scorso 14 marzo l’Ecofin, ovvero l’insieme dei ministri dell’economia e delle finanze dei Paesi Ue, ha proseguito l’esame della proposta fatta dalla Commissione europea, circa la riforma del Patto. In brutale sintesi, la Commissione propone che i Paesi che si trovano con un eccesso di deficit o debito o di entrambi negozino, ciascuno a partire dalle proprie condizioni, con la Commissione stessa il percorso di rientro. In tale negoziato su misura c’è una coda velenosa: si terrà conto della sostenibilità di ciascun debito, segnalandone la pericolosità al mercato. L’alternativa, se la riforma non si facesse, sarebbe vedere tornare in vigore il vecchio trattato, con meccanismi automatici di riequilibrio. Questo è il punto importante, che serve a capire il seguito: non è che quei meccanismi non abbiano funzionato, è che non sono stati applicati pienamente, bensì solo a spizzichi e bocconi. Tanto che il ministro dell’economia tedesca, il liberale Christian Lindner sostiene: <<Inutile avere regole che sono soggette alla discrezionalità politica e alla fine non funzionano mai>>. Difficile dargli torto.
Dopo quella riunione la Germania ha diffuso un proprio “non paper”, una riflessione informale, in cui sostiene che passi pure per la negoziabilità proposta dalla Commissione, ma se poi non funziona si passa alla garanzia di un sistema automatico, con una riduzione obbligatoria proporzionale allo squilibrio del debito, fino all’1% annuo del prodotto interno lordo.
L’Italia si trova fra questi scogli: la proposta della Commissione porterebbe ad una indicazione di pericolo per il nostro debito, quella tedesca all’automaticità della sua riduzione. E nella misura massima, visto che il Fondo monetario internazionale ha provveduto a ricordare che, nel mondo sviluppato, il nostro debito è secondo solo a quello del Giappone, ma con una condizione interna assai diversa (colà altro che pensionati che neanche hanno 60 anni!). Che intendiamo fare? Se la sinistra non fosse impegnata a convincere sé stessa d’essere de sinistra e i terzopolisti a scannarsi e mettere in fuga gli elettori, proverebbero a incalzare il governo su questo tema.
Aumentare il debito è bello nell’immediato e molto doloroso nel futuro subito successivo, dimostra sovranità nazionale nello svendere sovranità nazionale. Il debito toglie libertà. Diminuire il debito è doloroso nell’immediato e un sollievo subito dopo, riconquistando sovranità e libertà. Un governo che pensasse di durare non avrebbe dubbi e scegliere la riduzione. Chi pensa di cadere sceglie l’indebitamento. Chi non sceglie si barcamena nell’inutilità.
Una cosa è sicura: se non si sarà capaci di usare i fondi europei e si penserà di tenere in ostaggio gli altri immobilizzandoli sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes), i due scogli si stringeranno e si dovrà chiedere a Schettino l’effetto che fa. A quel punto il Patto sarà difficile, ma la stabilità ancora di più.