Siete fra quanti hanno considerato una follia sanzionare medici e infermieri per avere fatto troppi straordinari e avete poi apprezzato l’intervento del Presidente della Repubblica? Bene, siete fra le persone ragionevoli. Ma non ce la si deve prendere con la “burocrazia”, si deve capire cosa sia successo e perché. Dopo di che si sarà molto, ma molto più arrabbiati. Anche perché l’errore a monte della questione, che si trova nella legge, si riprodurrà adesso in quella di bilancio.
Non basta che una spesa abbia una nobile motivazione per essere anche giusta. Si può avere un encomiabile intento e una pessima spesa. Quindi non basta dire “salute” (ma neanche “Covid”) per giustificare spese crescenti. Si deve sempre controllare. Ed è qui che cascano gli asini.
Una spesa relativa a un periodo che va dal giugno 2021 al settembre 2022 non può essere sanzionata alla fine del 2023, quando è già stata effettuata e continuata. Con quei tempi di controllo e intervento andrebbe in fallimento qualsiasi impresa. Ma, appunto, la spesa era stata controllata e approvata dai direttori delle Aziende sanitarie che, però, sono sia gestori che controllori della spesa, facente capo alla Regione d’appartenenza. Tanto è vero che, nel caso di Bari, il direttore generale competente aveva presentato ricorso avverso la sanzione di cui all’intervento del Quirinale. Sanzione che era stata fatta dall’Ispettorato del lavoro, che con la sanità non c’entra nulla ma che è preposto al controllo della spesa per la retribuzione dei dipendenti. E questi sono i due primi ragli.
Poi: per il periodo precedente quello oggetto della sanzione, tutto bene? Strano, perché per i 12 mesi antecedenti – quelli più duri e difficili per la pandemia – ci si sarebbe aspettato un utilizzo massiccio dello straordinario e dei mancati riposi. Eppure nulla. Strano, a meno che quei reparti non si fossero nel frattempo svuotati di medici e infermieri. E se invece i controllori avessero fatto finta di non vedere, sarebbe anche peggio.
Perché l’asineria più inquietante si trova nella norma. La spesa va sempre controllata e può sempre essere migliorata, anche senza farla crescere, anche tagliandola o aumentandola a ragion veduta. Se questo mestiere non lo si sa fare, se (come capita da noi) il controllore è il controllato e la revisione della spesa non funziona né in italiano né nell’inglese della spending review, allora – per evitare che finisca del tutto fuori controllo – si ricorre a meccanismi automatici. E uno di questi è qui scattato innescando la sanzione, che dovrebbe essere automatica quanto il meccanismo. Solo che sono ciechi.
Tale modalità operativa si ritrova pari pari nella legge di bilancio, che per far quadrare i conti sulla carta non soltanto apposta privatizzazioni per un valore solo sperato, ma prevede un taglio delle spese in capo alle amministrazioni pubbliche, nazionali e locali, che ove non sia effettuato darà luogo a un taglio lineare del 5%, ovvero il meccanismo automatico che ora tutti sono pronti a bollare come assurdo e forse anche offensivo. Salvo moltiplicarlo su scala assai più vasta.
A fronte di questo il Colle può imprecare, ma non risolvere. Le semplificazioni giornalistiche non soltanto fuorviano, ma illudono. Devono intervenire il governo e il legislatore (quest’ultimo manco conosce le leggi che sforna, sicché ci sarà un decreto che poi verrà convertito con l’aggiunta di altre astruserie), che però s’erano appena apparecchiati a fare l’esatto opposto, ovvero rimediare per via lineare e meccanica all’incapacità di controllare e riqualificare il dettaglio di ciascuna spesa. Ove prevalesse la seconda cosa nessuno avrebbe mai contestato che si sia rimasti a intubare troppo a lungo, mentre sarebbe bene contestare le corsie dove il lavoro non ferve proprio per niente o le liste d’attesa per diagnosi che si potrebbero fare in fretta, se soltanto qualcuno non spegnesse le macchine.
Insomma, la vicenda è uno dei ritagli della spesa pubblica inefficiente. E non è risolta manco per niente.
La Ragione