Gli italiani che pagano tasse, imposte e contributi pagano troppo. Hanno (abbiamo) non solo il diritto, ma anche il dovere di rivoltarsi. Pagare, ovvero dovere rinunciare a una parte dei soldi lecitamente guadagnati e regolarmente dichiarati, non è mai piacevole. Checché ne dica qualche moralista fiscale.
Ma è conveniente, è un buon affare, se serve a vivere in una società più giusta, in cui a tutti sia offerta una paragonabile (uguale è impossibile) opportunità di farsi strada per merito e capacità, in cui ci sia pari accesso alla salute, in cui chi è svantaggiato non sia abbandonato. È un mondo migliore, che vale il prezzo. Ma se serve a finanziare falsi poveri, a pagare il conto degli evasori fiscali, a retribuire la nullafacenza, allora no: è uno sporco affare, da contrastare con ogni mezzo, contro cui rivoltarsi.
Convivere con l’evasione fiscale significa rinunciare alla rivolta fiscale, perché consente di far scendere la pressione sociale affrancando troppi dal dovere di versare. E consente di spostare la maggioranza degli elettori a favore di chi promette nuove spese, che sono la premessa di nuovi prelievi o il lievito di nuovi debiti, vale a dire promessa di maggiore fiscalità.
A questo andazzo corrotto e corruttivo dovrebbero ribellarsi non solo i 5 milioni di italiani che, in pratica, mantengono tutti gli altri, ma anche i veri bisognosi, che ricevono meno di quel che sarebbe possibile e sotto forma di elemosina degradante anziché di investimento in competenza, produzione e dignità.
Un italiano che vive in una casa non accatastata è un evasore fiscale che ha realizzato l’opera in evasione fiscale. Bisogna stanarlo e costringerlo a pagare non perché lo chiede l’Unione europea, ma perché lo chiedono quanti stanno pagando il suo conto.
Il mio interesse è non pagare per chi non paga. E chi difende quanti non pagano offende il mio interesse. Se non la si mette chiaramente in questi termini va a finire che anche l’evasione diventa un diritto, sostenendo che pagare è impossibile, perché troppo oneroso. Lo è di già, ma solo in capo a chi è onesto. E ha il diritto e il dovere di rivoltarsi.
L’Italia è il Paese che più di ogni altro ha interesse a che si crei un debito comune europeo. Ma è anche il Paese che più di ogni altro crea ostacoli a che quel debito prenda forme serie, strutturali e permanenti. Noi creiamo ostacoli perché andiamo raccontando che è un diritto occupare i beni del demanio pagando quattro soldi e affittando un ombrellone a otto. Raccontando che sarebbe una specie di furto farla finita con le case non accatastate.
Inventando sempre nuovi bonus da distribuire, in una corsa assistenzial-clientelare che neanche più fidelizza l’elettore comprato, che tanto poi vota quelli che promettono di più. Una scena simile non intendo finanziarla non in quanto contribuente tedesco od olandese, non intendo finanziarla in quanto contribuente italiano. Gli italiani onesti sono massacrati da questo andazzo, non certo dal tentativo di drenare e risanare questo pantano d’illegalità. Che si compiace pure di sé stesso.
Abbiamo preso degli impegni, in cambio del più consistente trasferimento di ricchezza europeo a nostro favore. La contabilità del dare e avere non si fa solo su contributi versati e incassati (logica miserabile), ma su quanto abbiamo risparmiato grazie ai tassi bassi, quanto vale il 60% delle nostre esportazioni, quanto avere vissuto due decenni senza sottrarre ricchezza al risparmio privato.
Abbiamo preso degli impegni. Sono stati votati dal Parlamento. Non rispettarli non significa solo sciropparsi “moniti”, ma essere inaffidabili. Buffoneschi. Incapaci. Mentre gli italiani che mantengono la baracca hanno caratteristiche opposte e rispettate. Non si deve dirlo, perché tanto alle elezioni vince ci scassa e promette? L’opposto: si deve urlarlo, perché finanziando ignoranza e non lavoro, difendendo gli evasori si corre alla rovina. Loro avranno solo il vantaggio di non averla finanziata, ma la pagheranno ugualmente.