Il Fondo Salvastati è interesse di tutti, e italiano in particolare, che esista. Il tradimento sarebbe farlo saltare. Fossimo noi a metterci di traverso sarebbe come il caso di un condominio che discute se affrontare la spesa per un defibrillatore e a opporsi siano i cardiopatici. La partita seria si gioca non sul volerlo o negarlo, ma su come farlo funzionare.
Il Salvastati (il nome corretto è: Meccanismo europeo di stabilità, Mes, Esm l’acronimo inglese) conviene a tutti perché la sua sola esistenza allontana gli avvoltoi dalle piaghe dei bilanci pubblici. Disincentiva a scommettere sui collassi. La sua nascita servì, assieme ad altro, a rendere possibile la svolta monetaria della Banca centrale europea e a far scendere in picchiata il costo del debito pubblico, facendoci risparmiare una montagna di quattrini e guadagnare tempo prezioso, che purtroppo è stato sprecato. La sua istituzione, nel 2012, fu cosa tanto giusta e utile che il Senato lo approvò con soli 21 voti contrari e 15 astenuti, che alla Camera furono 59 e 36. Maggioranze larghissime. Il fondo è alimentato con contributi di tutti i Paese dell’Euroarea, secondo la classica proporzione relativa al prodotto interno lordo. Immediatamente prima un meccanismo simile fu applicato a Irlanda e Portogallo, che fecero richiesta d’aiuti, con risultati ottimi.
Tutto bene? Occhio alle saponette in corridoio. La politica espansiva della Bce ha consentito di mettere titoli del debito pubblico di Paesi Uem nei bilanci considerandoli tutti a uguale rischio, ovvero nessuno. Il mercato, però, si regola secondo altri criteri e il nostro debito è considerato il più rischioso (a parte quello greco, che pure siamo riusciti a “superare” per qualche ora), quindi il più caro. Se le regole europee sui fallimenti bancari separavano (giustamente) il rischio bancario da quello sovrano, vale a dire che se una banca salta non paga il contribuente, la politica Bce ha indotto e consentito alle banche di acquistare molti titoli del debito, il che, però, rischia un rigurgito in senso opposto: il rischio sovrano diviene bancario. I tedeschi, che hanno il sistema bancario forse peggio messo d’Europa, hanno più volte indicato questo punto chiedendo perché mai avrebbero dovuto contribuire a un fondo per garantire clienti e banche italiane che sono piene di debito pubblico e hanno troppi crediti dubbi. Le risposte sono: a. perché avete firmato un impegno e pacta sunt servanda ; b. perché aiutando i greci si aiutò anche chi aveva prestato loro i soldi, banche tedesche in primis. Peccato che i governi italiani non abbiano avuto lucidità e autorevolezza per far valere questi punti, preferendo piatire una inutilissima e autolesionista “elasticità”, con la quale, alla fine, si dava ragione proprio alle tesi tedesche.
Che c’entra con il Salvastati? Molto, perché se uno Stato che chiede aiuto vede ristrutturare preventivamente il proprio debito, colpendo chi vi ha investito, per noi, nel malaugurato e speriamo non realistico caso ci si trovasse in quelle condizioni, significherebbe vedere affondare le banche.
Chiedo perdono per la semplificazione, che già a qualcuno sembrerà troppo complicata, ma serve a dire che è demenziale il dibattito se sia tradimento dell’Italia firmare accordi che, in realtà, furono ratificati sette anni addietro, mentre sarebbe utile concentrarsi sul merito: 1. il Mes è un bene; 2. l’apertura tedesca sul fondo interbancario europeo è un bene; 3. il nostro debito pubblico è un male; 4. va ridotto e non allargato, ma non usato come arma per immobilizzare il sistema finanziario di uno dei Paesi membri; 5. per far uscire l’area più ricca del mondo da questa palta occorre federalizzare una parte del debito, il che, naturalmente e giustamente, comporta ulteriore (non minore) cessione di sovranità, in modo da conservarla e renderla credibile. Alternative? Liberi tutti e ciascuno se la veda da sé. Per noi sarebbe una tragedia, per tutti una sconfitta. Una partita, insomma, in cui serve temperanza e competenza, non vociante supponenza da presunti salvatori, altrimenti te li saluto, gli interessi dell’Italia.