Adam Smith è il fondatore dell’economia politica. Nasce con lui, non a caso in Regno Unito, proprio perché tra il suddetto e il continente, dominato dalle monarchie assolute, c’erano profonde differenze, inoltre il regno unito riconosceva il diritto di proprietà privata e di proprietà delle proprie creazioni tramite i brevetti, mentre nel resto del continente gli uomini erano solo sudditi a cui non venivano riconosciuti alcuni diritti, vi erano le corporazioni che non prevedevano la libertà di espressione e la meritocrazia.
La libera iniziativa era ampiamente ostacolata, ma allora non si capiva che utilizzando questo sistema si sarebbero prodotti beni per i singoli e per la società. Quindi, l’unico terreno fertile per un trattato di economia non poteva che essere la gran Bretagna: l’idea di Smith è quella che in una società ci sono individui, gruppi sociali, imprese, associazioni che hanno il diritto di libertà di espressione e di mettersi quindi in competizione, provocando un incremento di innovazioni e di ricchezza. La libertà che professano i liberali è quella nel rispetto di tutti. Nei gruppi sociali la libertà è leggermente limitata ma comunque ampiamente presente e l’uscita da questi è gratuita. Nelle imprese la libertà si riduce e l’exit ha dei costi, ma se vigessero la libera concorrenza e la meritocrazia, esso si allieverebbe. Infine, nei governi non liberali la libertà non esiste.
L’equilibrio di mercato si raggiunge in base alle domande dei consumatori e alle offerte delle imprese, ma nessun governo deve imporci cosa comprare, dobbiamo essere noi liberi di scegliere.
Coloro che fanno le offerte in maniera disonesta e sgomitando devono essere esclusi dalla società.
Concludendo, gli economisti liberali non sono anarchici, il mercato deve avere delle regole, ma favorendo la libertà di espressione e la libera concorrenza, realizzando così il bene dei produttori e della società.