Ricomincia la scuola per una generazione che non è più assorta solo nei suoi pensieri ma nei media sociali. Qui fuori il mondo è digitale da un pezzo ma sembra che a scuola se ne siano accorti solo ora. La scuola è ancora quella della generazione industriale, ma adopera la didattica di quella contadina. Gli insegnanti hanno passato l’estate a protestare. Hanno torto sui trasferimenti, ma hanno ragione sui salari. La media stipendi è tra le più basse d’Europa, le infrastrutture a disposizione sono spesso obsolete e fatiscenti. Le eccezioni sono una rarità da copertina utile solo a confondere un sistema che si muove scomposto senza una vera strategia, senza obiettivi e soprattutto senza una visione del domani.
Se si vuole puntare sull’innovazione la scuola deve essere la prima voce di spesa del governo Non lo è. Il Primo Ministro ci ha illusi con i soliti fuochi d’artificio, ma li si è fermato. Lo sforzo lodevole della Buona Scuola ha prodotto una riforma timida che sembra più il risultato di una mediazione tra burocrati che una risposta decisa e coraggiosa alle sfide che aspettano i nostri ragazzi. La digitalizzazione che sta profondamente trasformando il nostro modo di vivere e lavorare richiede soprattutto un ripensamento radicale del modo di insegnare e quindi del ruolo degli insegnanti.
Nè il Governo né il personale della scuola hanno compreso l’urgenza di proporre una didattica che consenta a questi giovani di diventare innovatori. Bambini e studenti devono tornare al centro del dibattito, la scuola è la loro. Dobbiamo alimentare la loro fisiologica curiosità. Dobbiamo stimolare la loro creatività. Dobbiamo spingerli ad intraprendere per provare a risolvere problemi sempre nuovi. Dobbiamo aiutarli a maturare quel metodo scientifico che da noi non ha mai trovato spazio nel confronto quotidiano, rallentando lo sviluppo conoscitivo nella convivenza civile con riflessi negativi pure sulla capacità di adeguare di continuo le istituzioni. Il metodo scientifico si occupa dei problemi nella prospettiva del domani mentre la scuola studia solo il passato.
La scuola tende a sopprimere il desiderio di scoprire il mondo, favorendo il trasferimento acritico di sapere attraverso obsolete lezioni formali. Ci vuole altro. Il sapere è disponibile ovunque con le tecnologie in cui i nostri ragazzi si immergono. Semmai devono imparare a selezionarlo con il loro spirito critico e usarlo per creare nuovi prodotti e per rendere questo mondo migliore. Lasciamoli perciò sbagliare e sul sistema di valutazione – il modello attuale resta coercitivo – apriamo un vero dibattito che non sia finalizzato a proteggere gli insegnanti ma a stimolare il talento dei nostri ragazzi. Le attitudini di cui il mercato del lavoro ha disperato bisogno hanno convinto le aziende a ripensare i propri processi di selezione e formazione. La scuola no, è rimasta per lo più immutata.
La Buona Scuola non si è posta il problema di ripensare la classe e le sue dinamiche. Così come sono non hanno più senso. Dovrebbero diventare un laboratorio aperto alla collaborazione e al confronto sui dati di fatto. Dovranno aprirsi al mondo produttivo ben oltre l’Alternanza Scuola-Lavoro, così che gli adulti porteranno le esperienze del mercato mentre i ragazzi li aiuteranno a scoprire le novità. Il rapporto studenti-insegnanti va ripensato per progettate una didattica che li renda protagonisti attivi e non più contenitori passivi. Gli insegnanti devono diventare una guida, un motivatore, un manager, che stimola e coordina gli interessi e la passione di chi gli sta davanti. Sarà anche una Buona Scuola quella che comincia ma resta lontano dal futuro che i nostri ragazzi dovrebbero costruire da protagonisti. La responsabilità di questo ritardo è nostra.
Pietro Paganini, La Stampa del 12 settembre 2016