Se Salvini cerca di strappare alla Meloni la bandiera di leader “coerente” di destra

Se Salvini cerca di strappare alla Meloni la bandiera di leader “coerente” di destra

Mentre Giorgia Meloni si presentava a Lampedusa assieme alla donna che più di tutte simboleggia l’Europa (Ursula von der Leyen), Matteo Salvini si presentava a Pontida assieme alla donna che più di tutte rappresenta l’antieuropeismo (Marine Le Pen). “Noi non abbiamo cambiato opinione”: sono state queste le prime parole che il segretario leghista ha pronunciato ieri dal palco. Parole non casuali.

È così partita la campagna salviniana per strappare alla Meloni quella bandiera che, a torto o a ragione, secondo tutti gli osservatori ha rappresentato la chiave del proprio successo elettorale: la coerenza. Bandiera inevitabilmente scolorita e lacerata nel passaggio dalla demagogia degli anni trascorsi all’opposizione alle responsabilità imposte dalla funzione di governo. Bandiera che Matteo Salvini intende intestarsi grazie all’ormai rodato ruolo di leader di lotta e al tempo stesso di governo. Umberto Bossi lo fece con Silvio Berlusconi premier, Salvini lo sta facendo con Giorgia Meloni, dopo averlo fatto con Giuseppe Conte.

In vista della propria ascesa al ruolo di presidente del Consiglio, Giorgia Meloni evitò di pronunciarsi a favore di Marine Le Pen nel ballottaggio con Emmanuel Macron. Salvini, invece, lo fece. E ieri è tornato ad esibire come un valore quasi sacro il rapporto che lo lega alla leader della destra nazionalista francese, sulla cui amicizia, appunto, “non abbiamo cambiato idea”.

Nessuno, dal palco di Pontida, ieri ha pronunciato la parola “Ucraina” o evocato il nome di Vladimir Putin. Tutti hanno parlato di Europa e tutti l’hanno fatto in chiave critica oltre che in aperta contrapposizione a quelle “libertà” che sono state per vent’anni il cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi e che ieri erano con tutta evidenza il filo conduttore della kermesse leghista.

Salvini sa bene che l’atlantismo e l’europeismo di Giorgia Meloni disorientano parte non marginale della sua base elettorale e persino dei suoi eletti. “Abbiamo ormai rinunciato al cambiamento”, ha scritto ieri, con amara rassegnazione, l’intellettuale d’area Marcello Veneziani sulla Verità. Parlava a nome di una destra che c’è, Veneziani, e che si sente tradita nei propri ideali fondanti. Una destra che si ritrova nelle tesi del generale Vannacci, che non a caso Salvini intende candidare alle elezioni europee di giugno. Una destra che fatica a trovare una bussola per orientarsi nel presente a cui Mattei Salvini ha usucapito i punti di riferimento cardinali del passato abusando, come è accaduto ieri a Pontida, dei concetti di “comunità” e di “identità”, regolarmente enunciati col favore del “buon Dio”.

“Noi non siamo cambiati” era il senso del messaggio securitario agli immigrati, ma in realtà ai propri elettori, lanciato da Giorgia Meloni con l’intervento video dello scorso venerdì. “Lei è cambiata, ma noi no”, è il senso impresso da Matteo Salvini alla kermesse di Pontida.

Per i prossimi otto mesi, sarà questa la sfida. E, naturalmente, nessuno dei due avrà il coraggio di ammettere cambiamenti fisiologici, né di spiegarli con la differenza che passa tra stare all’opposizione e stare al governo. Ovvero, con la differenza che passa tra fare propaganda e fare politica.

 

Huffingtonpost

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