Più grande è il dolore, maggiore la necessità di guardare avanti. Oramai si completa la contabilità delle vite umane. Troppe sono state perse. Molte sono state salvate. Si conferma che abbiamo imparato a portare i soccorsi. Giù il cappello per professionisti e volontari. Restano due problemi: le polemiche su quel che è stato e i timori su quel che sarà. Cerchiamo di non finire anche sotto queste macerie.
1. La procura indaga per disastro colposo. Fa bene, è il suo mestiere. Non significa che ci sia stato, ma che occorre accertarlo. Se ci sono colpe vanno scoperte. Se ci sono colpevoli devono pagare. Ma di colpe e colpevoli non si vive.
2. Aumentare deficit e debito non è la soluzione dei nostri mali, è il nostro male. Ma in casi come questo, per disastri naturali, è non solo consentito, ma doveroso. Il guaio è che sia il diritto europeo che quello italiano prevedono la possibilità di deviare “temporaneamente” dall’equilibrio di bilancio, mentre noi lo facciamo permanentemente. Il fatto che ora si abbia bisogno di spendere non copra e non assolva errori accumulati negli anni e rivendicati quasi fossero meriti e diritti. La spesa corrente va comunque ridotta e il debito abbattuto. Quella che si farà per far fronte al terremoto è non solo necessaria, ma può essere produttiva.
3. Non si tratta di offrire contributi ai singoli proprietari che devono rimettere in piedi o in sicurezza la propria casa (per giunta con la sciocca discriminazione di escludere le seconde case, posto che in tanta parte dei borghi molte sono tali), ma di operare recuperando e valorizzando il patrimonio edilizio, che è anche paesaggistico, artistico e storico, di interi paesi. Le abitazioni sono di ciascun proprietario, ma l’insieme è patrimonio di tutti. Parte di quella ricchezza che potrebbe e dovrebbe far meglio fiorire l’industria del turismo. Servono piani generali, non progetti condominiali.
4. Ad operare deve essere chiamato chiunque sappia farlo, con gare europee. Sulla base di protocolli che non si prestino ad equivoci. Se, poi, al prossimo disastro qualcosa cade deve essere colpa della malasorte, non di qualche profittatore. Non possiamo cancellare i terremoti, possiamo azzerare la marmorizzazione del malaffare. Lo Stato deve essere tramite dei finanziamenti e controllore, non operatore.
5. Abbiamo tecnologia di primo livello, competenze professionali e imprese eccellenti, sia di grandi che di medie e piccole dimensioni. Non dobbiamo avere il timore di metterle in competizione. Abbiamo anche esperti nel rapporto con gli amministratori e nel risparmiare sui materiali. Vederli soccombere non sarà un male. L’edilizia, messa in crisi anche da una tassazione demoniaca, spaziante dalle patrimoniali alle mascherature in servizi pubblici e tariffe amministrate, è un settore ad alto assorbimento di lavoro. Se si punta all’alta qualità si formeranno imprese e lavoratori capaci di conquistare mercati esteri, se si punta all’evasione e al nero continueremo ad arruolare manodopera irregolare. In questa chiave la spesa resa necessaria dai disastri sarà produttiva, superando la logica elemosiniera dei bonus.
6. I singoli proprietari devono essere messi nella condizione, per queste e altre catastrofi, di non perdere mai tutto. Assicurare i propri beni immobili è una buona pratica, che va agevolata rendendone detraibile il costo. Se fatto su larga scala sarà assai interessante sia per i privati assicuratori che per uno Stato che non si ritrovi, da solo, a far fonte agli immensi danni.
Per battere queste strade occorre una visione che superi l’orizzonte di una legislatura o di un governo. Serve un comune sentire che non sia in balia delle propagande. Abbiamo gli occhi lucidi per il dolore, ma anche il dovere di tirare un respiro profondo e andare avanti. Qualche esibizionista minore potrà supporre di accaparrarsi i meriti e qualche suo collega di campare berciando sui demeriti. Ma è in occasioni come queste che si può e deve trovare la forza, la voglia e la convenienza di sentirsi, prima di tutto, italiani.
Davide Giacalone, Il Giornale del 27 agosto 2016