Stiamo andando alla grande, con il che si vede anche un grande problema. I turisti in arrivo fanno segnare un record dopo l’altro. Un settore che pesa per il 13% del prodotto interno lordo può puntare a raggiungere il 20, in un momento in cui le prospettive di crescita restano positive, ma ben ridotte rispetto alle aspettative. L’Italia è, tradizionalmente, la prima meta d’accesso per i turisti extra europei, ma per la prima volta da molti anni battiamo con distacco la Spagna, la Francia e la Grecia circa la saturazione della ricezione. Negli ultimi 24 mesi, quindi quando ancora la pandemia mordeva ferocemente e anche grazie al successo della campagna di vaccinazione, siamo stati scelti da un terzo dei turisti europei. Il 37% dei tedeschi ha fatto almeno una puntata da noi. Anche noi viaggiamo, naturalmente, ma questi risultati portano in attivo la bilancia commerciale turistica.
I dati sono subito disponibili grazie alle Online Travel Agencies (Ota). E qui si tocca il primo tasto dolente: sono radicate fuori dall’Italia, mentre da noi non c’è una piattaforma unica che consenta di sapere cosa c’è in un determinato luogo, come lo si raggiunge, dove si può dormire e mangiare, nonché prenotare. E sì che di posti e occasioni ne abbiamo a migliaia. Senza contare che per realizzare piattaforme efficienti e avvincenti occorrono giovani, competenze tecniche, inventiva e buon gusto. Teoricamente saremmo campioni in tutto, salvo avere tanti giovani a spasso e con scarse competenze. Il che comporta, per ogni stanza occupata dai benvenuti turisti, la perdita di una percentuale di guadagno (in media il 15%) che resta fuori dai nostri confini. Rimediare è più facile che sopportarlo, ma si dovrebbe mettere mano alla scuola, dove siamo occupati dalla milionesima riforma degli esami di maturità e dalla millesima assunzione di precari, e ricomporre l’assurdo spezzettamento regionale, dove siamo occupati dal volere finanziamenti senza sapere realizzare opere.
Da qui al secondo dato preoccupante: manca il personale. Già a stagione estiva avviata mancano 350mila persone. Il ministro leghista del turismo chiede di rimediare facendo entrare subito immigrati, il che, a parte l’aspetto ironico, comporta l’arruolamento di personale non particolarmente formato e meno ancora specializzato. E ciò porta a fornire servizi poveri. In un Paese che ha il 10% di disoccupazione e più giovani a spasso che in ogni altro pizzo d’Europa. In compenso parliamo da mesi dei feudi sabbiosi, facendo finta di difendere l’italianità che non è affatto minacciata e, comunque, si regge sugli stranieri che lavorano.
Il turismo non è il solo settore che cerca lavoratori e non li trova. Vale per moltissime altre attività. Purtroppo c’è una rendita assistenzialista che consente a troppi di declinare offerte. L’Italia è senza lavoro non nel senso che manca il lavoro da farsi, ma la voglia e la capacità di farlo. Dirlo chiaramente espone alla sicura reprimenda di chi commenterà: sei fuori dalla realtà, vivi con le chiappe protette, non conosci la miseria e via così deliziando. Chi (ri)scriverà queste cose vive effettivamente fuori dalla realtà, con le chiappe riscaldate dall’assistenzialismo e descrivendosi misero per non vantarsi d’essere evasore. Già, perché in quel bacino cresce l’offerta di lavoro nero: mi tengo il sussidio e ti faccio la grazia di lavorare per te, ma mi paghi cash. E siccome questo comporta aziende con bilanci falsi e a loro volta evasori fiscali, gli onesti arrancano e i disonesti furoreggiano.
Un dettaglio: nella pubblica amministrazione ci sono 1.1 milioni di ultra 55enni, il 41% dei dipendenti. Nel settore privato sono 4.2 milioni, ma pesano per il 21%. Prima della fine del decennio saranno in pensione. Come credete che possa reggersi un simile peso? Ma che domanda fessa: con bonus, ristori e indennizzi. Tutto a carico dell’Italia che miete successi. Che diventeranno decessi, se non si svolta e rivolta.
La Ragione