Sono almeno trent’anni che in Italia si parla di separazione delle carriere e sono almeno trent’anni che dalle parole non si riesce a passare ai fatti. Eppure nella maggior parte delle democrazie occidentali la separazione delle carriere tra magistratura requirente e magistratura giudicante è la regola. Una regola pressoché assoluta, evidentemente ispirata al principio, su cui si incardina lo Stato diritto, della parità tra accusa e difesa nel processo. Se, infatti, la carriera di chi rappresenta l’accusa è identica a quella di chi giudica, se entrambe dipendono dallo stesso Csm e appartengono al medesimo ordine, è chiaro che difficilmente il giudice potrà essere percepito come terzo e che sicuramente la difesa dell’imputato avrà l’impressione di un confronto squilibrato a vantaggio dell’accusa. Come in Turchia e in pochi altri Paesi, in Italia vige invece l’unificazione delle carriere, introdotta, fatto emblematico, nel 1942 durante il regime fascista. Un’inconguenza che anche Giovanni Falcone sosteneva andasse corretta.
Ma allora, perché una riforma di così evidente buonsenso e di cui si parla da così tanto tempo non è stata ancora approvata? La risposta è semplice: per paura. La paura di ministri e leader politici di maggioranza d’essere travolti da una valanga di inchieste e di avvisi di garanzia scatenati in maniera pretestuosa dai magistrati più politicizzati con l’obiettivo di ostacolare una riforma notoriamente sgradita alla corporazione giudiziaria.
Ebbene, dopo oltre trent’anni di parole mai seguite dai fatti, un fatto, oggi, c’è stato. E si è trattato di un fatto rivoluzionario: il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge costituzionale messo a punto dal guardasigilli Carlo Nordio e dal viceministro alla Giustizia Francesco Sisto che scinde le carriere dei magistrati che giudicano da quelle dei magistrati che accusano. Si prevedono concorsi separati e due Csm distinti entrambi presieduti dal Capo dello Stato, si introduce il sorteggio per designare la componente laica del Csm, si demanda ad un’Alta Corte composta non solo da magistrati il giudizio sulle questioni disciplinari che attengono alle toghe. L’Anm, naturalmente, ha già alzato le barricate.
L’Italia si avvia così a diventare un Paese normale e Forza Italia può esibire, nel nome di Silvio Berlusconi, la propria riforma-bandiera al pari del premierato per Fratelli d’Italia e dell’autonomia differenziata per la Lega. Dirà il tempo se il “coraggio” dimostrato oggi è destinato a durare. Dirà il tempo se il destino della riforma costituzionale approvata dal Consiglio dei ministri è quello di finire impantanata in Parlamento come molti credono. Si vedrà. Oggi, però, chi crede nello Stato di diritto e nel primato della politica è autorizzato a festeggiare.