Siamo ormai nel regno della percezione

Siamo ormai nel regno della percezione

Nel regno della percezione si ha un impercettibile senso di disagio. Conta, si dice, quel che la gente sa e pensa. Già, ma sulla base di quali informazioni? Partendo da quali presupposti? I dati ha un senso leggerli e gli umori ha un senso sondarli se serve a indirizzare le scelte. Da farsi a ragion veduta. Invece li si usa, spesso, per assecondare e allontanare le soluzioni.

I reati calano e l’insicurezza cresce. Abbiamo parlato per mesi di violenza sulle donne, ma siamo fra gli europei che ne hanno meno. Parliamo di povertà crescente e aiuti da darle, salvo accertare che in buona parte riguarda gli stranieri e comunque i giovani, vale a dire persone da aiutare sì, ma a lavorare, non da mantenere. Parliamo sempre di pensionati poveri, ma è la fascia sociale che è stata più protetta dalla crisi.

L’immigrazione è divenuto il problema più drammatico e urgente, ma gli arrivi sono drasticamente diminuiti. Lo stesso tema sta travolgendo l’Unione europea, ma anche qui gli arrivi sono passati da 1.015.848, del 2015, ai 363.048, del 2016, ai 171.190, del 2017, per scendere ai 43.649 dei primi sei mesi del 2018. L’Italia è descritta come il Paese più travolto, ma fino al 24 giugno sono sbarcati da noi in 2.964, mentre in Spagna ne sono arrivati 5.300. Si dice che “siamo stati lasciati soli”, ma i primi tre mesi del 2018 confermano dimensioni già conosciute: 40.140 domande di asilo in Germania, 27.195 in Francia e 18.760 in Italia.

Devo scriverlo? Va bene, lo scrivo: i reati sono comunque violenza subita dai cittadini, anche una sola brutalità su una sola donna è già troppo, anche un solo povero inquieta la coscienza e gli immigrati dovrebbero essere tutti regolari e lavoratori. L’ho scritto. Ma resta un’ovvietà che sconfina nella banalità.

La domanda è: ma se questi sono i dati, come è possibile che si perda il sonno e si riempia il giorno non parlando d’altro?

Per rispondere sensatamente dobbiamo porci un’altra domanda: abbiamo problemi più urgenti? Sì, eccome: un debito pubblico mostruoso, una spesa corrente fuori controllo, interi settori della pubblica amministrazione collassati, una scuola che non produce abbastanza competenze richieste dalla produzione, una disoccupazione altissima, una pressione fiscale demoniaca.

Parliamo d’altro per non parlare di questi. Quelli agitati sono problemi più che seri, ma assai poco seriamente si fa credere che siano crescenti (e non lo sono) e facilmente risolvibili con atti d’imperio (ed è falso). Quelli taciuti sono problemi ancor più seri, ma non c’è lo slogan risolutivo e ogni volta che qualcuno se ne inventa uno nuovo ci vuole poco per dimostrare che trattasi di castroneria. Ecco perché parliamo d’altro.

L’alibi del travisamento si chiama: percezione. Non conta la realtà reale, ma quella percepita. Sulla base di che? Di quel che il sistema dell’informazione racconta e di quel che la propaganda politica alimenta. Se il mondo percepito è significativamente diverso dal mondo reale quella che ha fatto bancarotta è la classe dirigente: informatori, studiosi, cattedre, persone competenti e libere. Piegatisi al luogo comune. Che è una comunissima presa in giro.

Davide Giacalone, 4 luglio 2018

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