Tito Boeri presidente dell’Inps dice abbiamo bisogno di nuovi immigrati perché ci pagano la spesa sociale e fanno lavori che gli italiani non fanno.
Sostenere che perciò bisogna accogliere gli enormi flussi migratori attuali è assurdo.
Gli immigrati che pagano la sicurezza sociale sono quelli che lavorano, non gli irregolari, i clandestini e i disoccupati e i profughi, con diritto all’assistenza. Oramai i pronto soccorso sono intasati di immigrati senza tessera sanitaria; la disoccupazione supera l’11 per cento, è più grave fra i giovani e al Sud.
Se si liberalizzasse il mercato del lavoro e si ponesse un limite all’immigrazione condizionandola alle offerte di lavoro e alla capienza urbanistica, la spesa pubblica sarebbe minore, i giovani ora disoccupati pagherebbero nuovi contributi sociali, avremmo meno poveri, una vita migliore per tutti, immigrati compresi.
Boeri invece vuole il taglio retroattivo delle pensioni degli italiani residenti all’estero che hanno lavorato in Italia o all’estero e hanno pagato i contributi.
Anche una riforma per il futuro, contro questi concittadini è aberrante perché non si può obbligare un pensionato Inps a stare in Italia anziché in un paese con tasse più basse e minor costo.
Ma applicare questi tagli al passato implica la violazione di diritti acquisiti. Le proposte di riforme pensionistiche retroattive sommandosi alla mala gestione delle crisi bancarie dei governi Pd, ante Gentiloni, e alle loro tasse patrimoniali generano due effetti negativi.
Molti italiani non credono più che avranno la pensione che la legge promette. E quelli che hanno capitali all’estero non aderiscono alla voluntary disclosure.
La gente non crede più che i politici Pd rispettino le regole dello stato di diritto. Nel loro Dna ci sono dirigismo e razionalismo perfettista assieme alla pretesa d’esser quelli che conoscono il vero e il giusto. E lo vogliono imporre anche quando per mancanza di cognizioni storiche e giuridiche fanno la battaglia per lo ius soli adottato dagli inglesi per colonizzare l’America, che ora servirebbe agli afroasiatici per colonizzare noi.
Boeri segue lo «ius boeriano» che in parte ha basi astrattamente contributive in parte basi di equità da lui pensate giuste. Le pensioni per gli italiani all’estero dovrebbero esser depurate dalla «spesa impropria» a favore di chi ha lavorato meno di dieci anni e beneficia dell’integrazione al minimo e di chi ha diritto alla quattordicesima.
L’integrazione al minimo per lui è una misura impropria. Ciò benché sia ispirata al principio mutualistico di suddivisione del rischio fra tutti coloro che pagano i contributi. La retribuzione e la pensione annua possono essere date in 12 o 13 o 14 mensilità, essendo solo un modo diverso di rateizzarle, come gli acquisti a rate differite.
Secondo Boeri si tratterebbe di rendite pensionistiche inique quando vanno a un italiano residente all’estero anche perché fanno risparmiare allo stato estero prestazioni assistenziali equivalenti.
È una tesi pericolosa: gli italiani che risiedono in Italia possono ben pensare: ora tocca a loro, poi toccherà a noi. Proprio come per le pensioni «di lusso» di categorie che svolgono attività aleatorie che comportano rischi umani e la perdita di altre opportunità, come gli uffici pubblici e quelli politici e di pubblica difesa. Esse non possono obbedire al mero criterio socio-contributivo boeriano. E se lo si vuol adottare, non lo si può fare in modo retroattivo.
L’Inps, secondo i rilievi della Corte dei Conti ha bisogno di una riforma del suo management e di un miglioramento della gestione dei crediti deteriorati per medicare le ferite ai suoi bilanci.
Per chi gestisce l’Inps o vi sovrintende vale la massima «medice cura te ipsum»: medico cura te stesso, invece che suggerire cure improprie per gli altri. [spacer height=”20px”]
Francesco Forte, Il Giornale 21 luglio 2017