Stile istituzionale addio, nessuno sta più al proprio posto

Stile istituzionale addio, nessuno sta più al proprio posto

Stare al proprio posto. L’espressione suona ormai come un vincolo, una rinuncia, una mancanza di carattere. È vero, semmai, il contrario. Ogni carica presuppone una funzione, ogni funzione presuppone uno stile, ogni stile presuppone dei doveri. Dei doveri formali che, essendo la forma sostanza, se non ottemperati danno origine a violazioni sostanziali.

Un anno si è chiuso, ed una delle tante, possibili, lezioni tratte dall’anno passato è proprio questa: nessuno, o quasi nessuno, è più disposto, o forse addirittura in grado, di stare al proprio posto.

I generali si sono fatti sociologi e, come nel caso dell’ormai celebre Roberto Vannacci, concionano di valori, di famiglia e di geopolitica (‘sto Putin non è mica il demonio che dicono, anzi: lui sì che incarna i valori della tradizione…). I presidenti del Consiglio, come nel caso di Giorgia Meloni, rinunciano volentieri all’aplomb istituzionale e abusano della visibilità dovuta alla carica che ricoprono per offendere, nel senso di attaccare, i leader dell’opposizione come fossero loro gli oppositori e gli altri i governanti.

Persino il Papa fatica a stare al proprio posto. Papa Francesco viola con metodo il protocollo, sceglie di abitare non nel Palazzo Apostolico come i suoi predecessori ma il quello che di fatto è un hotel pontificio, Casa Santa Marta, dichiara di sentirsi “un po’ ingabbiato in Vaticano” e, colpo di scena ultimo, annuncia, senza che nessuno ne sapesse nulla, che quando verrà il momento suo desiderio è quello di essere tumulato non in San Pietro come i papi che l’hanno preceduto ma nella basilica di Santa Maria Maggiore, a due passi dalla stazione Termini.

Tutto legittimo, tutto imprevedibile.

Ad esempio. È previsto che, in quanto presidente della Fondazione della Scala, nel giorno di Sant’Ambrogio il sindaco di Milano assista alla prima della stagione lirica dal palco reale. È una regola, una tradizione, una forma. “Non prenderò posto nel palco reale, ma andrò il platea al fianco di Liliana Segre”, ha fatto sapere Giuseppe Sala prima della prima, con l’evidente intento di buttarla in politica a mo’ di reazione alla presenza, peraltro istituzionale, del presidente del Senato, il post fascista Ignazio La Russa. Poi la mediazione è stata trovata. Liliana Segre è assurta al palco reale e la polemica è finita lì. Ma c’è stata, e mai prima d’ora s’era paventata la possibilità che il sindaco di Milano assistesse alla prima della Scala in platea come un cummenda qualsiasi.

Non è spirito democratico, è demagogia. Il tentativo disperato di non apparire élite. Ma quel che ci appare interessante è notare che mai la demagogia era arrivata a mettere in discussione la solennità di certe forme. Ne cosegue l’osservazione che nessuno, ormai, sta più al proprio posto. E che, a furia di derogare in cerca dell’applauso “popolare”, si è finiti per svalutare il posto in quanto tale, cioè la funzione, cioè l’autorità che da quella funzione promana. Buon anno a tutti.

Huffington Post

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