La nuova scia sismica che continua a colpire Marche, Umbria e Alto Lazio conferma purtroppo quanto dicemmo dopo il sisma del 24 agosto scorso e le sue 300 vittime. Ancora una volta la macchina dei soccorsi e degli interventi emergenziali si è messa in moto da subito, forte delle esperienze appena maturate due mesi fa. Ma perché mai e necessario insistere sulla strada che è stata finalmente imboccata dopo la strage estiva: non fermarsi più all’emergenza e poi alla ricostruzione dei centri colpiti, ma avviare una grande macchina pubblico-privata che abbia come obiettivo in alcuni anni la messa in sicurezza progressiva, a cominciare dalle aree italiane esposte a maggior rischio sismico e idro-geologico, della parte troppo rilevante esposta a rischio dell’obsolescente patrimonio edilizio e urbano.
È una delle tre maggiori obiezioni sollevate dalla Commissione Europea alla bozza di bilancio 2017 predisposta dal governo italiano, quella sull’entità delle risorse destinate agli interventi anti-sismici. Oltre al peggioramento del saldi di bilancio strutturale corretto per il ciclo e alle spese destinate ad affrontare l’emergenza-migranti, Bruxelles obietta sullo 0,3% di Pil che il governo destina nel 2017 all’avvio della messa in sicurezza complessiva degli edifici nel nostro Paese, attraverso strumenti come il sisma-bonus che dal 50% delle spese sostenute potrà arrivare fino all’85% se l’edificio viene migliorato di 2 classi di rischio, entro un tetto di spesa fissato a 96.000 euro l’anno fino al 2021, recuperabile in 5 anni anziché in 10, esteso anche alle imprese. E accessibile non solo a chi risiede o opera in area sismica le 2, ma anche nella 3.
Per la Commissione, misure come queste dovrebbero essere sotto la linea del deficit consentito, non sopra. Gli unici fondi straordinari ammessi dovrebbero essere quelli per le spese dell’emergenza-sfollati, non della ricostruzione e messa in sicurezza, dice Bruxelles. Ma non è cosi. Anche solo considerando la cosa dal punto di vista ragionieristico caro a chi tiene alle regole europee, e vero l’esatto opposto. Ricordiamo en passant innanzitutto che l’unico strumento ordinario della Ue per affrontare le conseguenze di eventi naturali eccezionali, il Fondo Europeo di Solidarietà, nacque perché nell’estate 2002 il Centro Europa fu interessato da vaste inondazioni.
L’Italia condivide con la Grecia il maggior rischio sismico nell’intera Ue ed è messa peggio di tutti dal punto di vista idro-geologico. Ma e proprio per esserci limitati all’emergenza e trascurando sempre un programma generale di sicurezza nazionale antisismica che il conto delle vittime e dei danni italiani e diventato via via più spaventoso. In 70 anni 4419 località colpite con 5700 vittime, con grandi terremoti ogni decennio che di volta in volta hanno visto ricostruzioni avviate con criteri diversi e contrastanti, dal fallimento del Belice all’enorme fale di risorse clientelar-assistenziali in Irpinia.
In 70 anni 4419 località colpite con 5700 vittime, con grandi terremoti ogni decennio che di volta in volta hanno visto ricostruzioni avviate con criteri diversi e contrastanti
Il problema italiano non e solo garantire una ricostruzione il più. possibile «com’era e dov’era» ad Arquata e Accumoli, e ora a Ussita, Visso, Preci e Sant’Angelo in Nera. Imparare la lezione da decenni di errori significa cambiare prospettiva: sia temporale, che di risorse e di soggetti chiama-ti a intervenire. Temporale: perché è ingentissimo lo stock di edifici e opere da mettere in sicurezza per antichità di costruzione e di criteri e materiali posti in uso. Di risorse: perché a un simile programma sono intanto destinate risorse pubbliche per 7 miliardi in 7 anni più altri 2,7 recuperati da spese non effettuate negli anni alle nostre spalle, ma occorre aggiungervi molti miliardi di risorse private.
Da incentivare non solo fiscalmente via bonus per gli interventi, ma anche per estendere il più possibile strumenti assicurativi sugli immobili, traendo lezione da altri paesi nel mondo a rischio sismico, che in mate-ria hanno seguito in realtà modelli diversi, più o meno coattivi o volontari e con diversa disciplina di oneri compartecipativi anche per lo Stato. Quanti ai soggetti, un piano simile funzionerà so-lo se diventa una priorità nazionale di lungo periodo, non sollo pubblica ma estesa come una grande alleanza pubblico-privata.
Il confronto con 1’Europa e dunque da sviluppare non sui decimali di deficit per l’emergenza, ma proprio sul modello a lungo termine che il governo definisce Casa-Italia. Di cui intanto e stata avviata la cabina di regia, che amplia e assorbe gli uffici presso palazzo Chigi per il dissesto idro-geologico e l’edilizia scolastica, e che e stata affidata al rettore del Politecnico di Milano Giovanni Azzone. Dovrà mobilitare tutte le eccellenze italiane in campo urbanistico, architettonico, della conservazione e ristrutturazione.
Dar vita a un motore progettuale policentrico, insieme centrale ma soprattutto incardinato a rete nei territori. Nel quadro di una entità organizzativa snella, pienamente trasparente, e non caratterizzata dal principio della deroga alle norme del nuovo codice degli appalti. Casa Italia è la più grande sfida dalla ricostruzione italiana del Dopoguerra. È la grande occasione per mettere a frutto tutto ciò che Giappone e California fanno tecnicamente da decenni, ma nel nostro caso in coerenza all’evoluzione e alla tutela del patrimonio storico di un paese irriducibile agli altri, com’è L’Italia. Deve essere un modello da portare in Europa come banco di prova di una diversa volontà e capacità di riformare L’Italia. Questa volta non più su questa o quella branca di legislazione. Ma sulle condizioni fondamentali stesse che tutelano il diritto alla vita e alla sicurezza non solo degli italiani, ma di chiunque dall’estero venga a visitare, a vivere e operare nel nostro Paese.
Oscar Giannino, Il Messaggero 28 ottobre 2016