Cosa dovrebbe fare Giancarlo Giorgetti? Semplice, non mollare. E nei momenti più neri uscire a piedi dal retro del ministero dell’Economia per trovare ispirazione osservando la statua bronzea di Quintino Sella, così come i ritratti di Marco Minghetti e di Luigi Einaudi di cui certo nel Palazzo che occupa vi è traccia. Tre predecessori di Giorgetti al ministero un tempo detto delle Finanze: tre modelli cui ispirarsi per affrontare con responsabilità e cognizione di causa le traversie del tempo presente.
Lo spread era a 550, nel decennio successivo all’Unità d’Italia la spesa pubblica era cresciuta del 50%. Dopo aver fondato la Banca d’Italia e l’omonima banca privata, trovandosi a ricoprire la funzione di ministro delle Finanze Sella fece quel che era doveroso fare nell’interesse del Paese: introdusse una tassa sul macinato che nell’immediato lo rese bersaglio della satira e della piazza, ma che poi lo consacrò a vita come uomo delle Istituzioni. Quintino Sella riuscì così a pareggiare il bilancio del Regno. Un mito.
Di Marco Minghetti, altro nobile esponente della Destra storica, si ricorda l’abitudine di segnare ogni sera a matita il livello di petrolio nelle lampade del ministero delle Finanze per evitare che nella notte qualche inserviente ne taccheggiasse il contenuto. Quanto a Luigi Einaudi, già governatore della Banca d’Italia, ministro delle Finanze, del Tesoro e del Bilancio, primo presidente della Repubblica eletto e faro del pensiero liberale italiano ed internazionale, si rammenta in particolare un aneddoto. Quando invitò a colazione al Quirinale alcuni giornalisti di vaglia tra cui Ennio Flaiano. Arrivati alla frutta, il Presidente prese dal vassoio una grande pera e ritenendola esorbitante rispetto al proprio appetito chiese ai commensali chi la volesse spartire con lui. Flaiano fu lesto ad alzare la mano. Ne seguì un articolo sul Corriere della Sera che, sotto il titolo “La Repubblica delle pere indivise”, consacrò il mito di Einaudi come uomo di Stato attento ai conti, contrario agli sprechi, dedito alla parsimonia. Detto in un unico concetto oggi apparentemente tornato di moda: sensibile all’interesse nazionale.
C’è chi rammenta un’impossibile caccia agli spilli che le erano caduti sul prato innanzi alla residenza presidenziale da parte della signora Ida, moglie di Einaudi. E chi ricorda i cartelli vergati a mano dal Presidente e affissi nei bagni della tenuta piemontese di Dogliani. Era scritto: “Prima di aprire il rubinetto, chiudere il tappo. Lavarsi nell’acqua corrente è uno spreco inutile. Ci si lava altrettanto bene in poca come in molta acqua“.
Ora, senza fare della facile demagogia a contrario, è chiaro a tutti che i tempi sono cambiati, che la politica è oggi la più precaria delle carriere e che del conio umano di quei tre grandi liberali si è ormai rotto lo stampo. Resta, tuttavia, il problema di uno Stato gravato da un debito pubblico senza precedenti e di una classe politica naturalmente incline all’irresponsabilità sia rispetto agli impegni europei (leggi Mes) sia rispetto ai conti pubblici (leggi superbonus) sia rispetto alle clientele (leggi balneari). In tali circostanze, il ministro dell’Economia è tra gli uomini di governo quello che ricopre la posizione più scomoda. Se cede alle pressioni dei partiti danneggia lo Stato, se privilegia l’interesse dello Stato danneggia i partiti. E dunque se stesso. Se poi, come gli è stato chiesto da alcuni esponenti delle opposizioni, si dimettesse, salverebbe la propria coscienza, ma distruggerebbe la propria carriera, e, presumibilmente, consentirebbe ad un qualche manutengolo di partito di occupare il suo posto avendo come unico faro la propria, personale, ascesa politica.
Giancarlo Giorgetti sapeva cosa lo aspettava quanto ha accettato la nomina. Tenga la schiena dritta e faccia il possibile per onorare la memoria dei suoi tre illustri predecessori. Fare il massimo del possibile è un concetto relativo. Ma in politica è l’unico parametro che può fare di un uomo un uomo di Stato. I cialtroni non mancano, di idealisti sono piene le fosse.