Ci sono delle pepite, nel voto americano, su cui vale la pena riflettere. Non ci sono dubbi sulla vittoria di Donald Trump, che, infatti, pressoché tutti definiscono: trionfo. È così. Ma neanche ci sono dubbi sul fatto che Clinton ha preso più voti di lui. In percentuale: 47.7 contro 47.5%. Non ha alcuna importanza ai fini della gara e non avrebbe alcun senso dubitare della legittimità, che è piena. Clinton ha preso “troppi” voti dove erano “inutili” (nel senso che aumentavano la vittoria in uno Stato già vinto, senza cambiare il risultato). Ma il fatto che ne abbia presi di più dovrebbe suggerire qualche fretta in meno, nel trarre conclusioni epocali e globali.
Il secondo dato è ancora più significativo e istruttivo: non solo ha votato solo il 55.6% degli aventi diritto, ma in occasione della prima elezione di Obama (2008) votò il 62.2 e della seconda (2012) il 58.6. Ciò comporta due cose.
1) La prima è un’illusione ottica: compare come la più combattuta l’elezione meno seguita dagli elettori.
2) La seconda è una conseguenza determinante: quando il numero degli elettori cala la vittoria va incontro non a chi riesce a conquistare più elettori che altrimenti voterebbero per l’avversario, in questo modo spostandosi verso il centro, ma a chi riesce a portare più persone alle urne, e per far questo veste i panni dell’estremista. Da ciò discendono due problemi, con relative conseguenze.
Trump come governerà?
Il primo è: dopo avere vinto da estremista, come fai a governare? Un quesito che vale per tutte le democrazie, posto che negli Usa, a urne ancora calde, Trump già aveva cambiato vestito, invitando alla concordia nazionale e complimentandosi con l’avversaria (che aveva promesso di fare arrestare). E’ normare ed è anche un bene che sia così. Mi ripeto: conosciamo il Trump candidato, ma non sappiamo nulla del Trump presidente. Augurandoci che sappia restare nel tono di quel discorso della vittoria.
conosciamo il Trump candidato, ma non sappiamo nulla del Trump presidente
Anche in questo caso, però, ci sono faccende con cui fare i conti. Se provate a pensare a dei marchi che segnano, oggi, il successo statunitense nel mondo, a cosa pensate? Io a roba del tipo: Microsoft, Apple, Amazon, Google, Facebook et similia. Parlando dopo la vittoria Trump ha detto: faremo strade e ponti. Roba certamente utile, soprattutto a creare lavoro con investimenti pubblici, ma negli Usa la disoccupazione è bassa e il debito pubblico alto.
Per quadrare il cerchio (ove possibile) Trump si muove, almeno su questo è stato chiaro, nel solco delle politiche protezioniste. Lasciamo perdere che per noi è una fregatura, tanto a lui e ai suoi elettori può legittimamente non importare affatto, ma il protezionismo è un danno per il consumatore, giacché comporta la protezione di prodotti di minore qualità e maggiore prezzo (ove fossero di migliore qualità e minore prezzo non avrebbero bisogno di essere protetti, semmai sono gli altri che potrebbero essere tentati di farlo). Quanto tempo passa, e in quali condizioni, prima che il cittadino lavoratore e consumatore si accorga che se ha dei benefici (forse) ha anche dei danni (sicuro), dal protezionismo? Non lo so, ma prima o dopo se ne accorge. A quel punto non saranno le chiacchiere a compensare la delusione. Trump ha tutta l’aria di essere un uomo del secolo scorso (non parlo di anagrafe), ma di sicuro non è sciocco. Dal come si muoverà in quella contraddizione (presa ad esempio delle altre) dipenderà molto del successo della sua presidenza.
I giovani e l’astensione
Il secondo problema riguarda tutti (in tutte le democrazie), ma a cominciare dai giovani: la metà degli elettori che manca all’appello dovrà cominciare a pensare se, per caso, tanto conclamato disinteresse non sia masochista. Il che non ha importanza rispetto alle elezioni che ci sono state (protestare e bloccare le autostrade è una reazione tanto isterica quanto inutile), ma ne ha moltissima circa il livello della vita pubblica e politica. Fino a quando sarà un vezzo non occuparsi di politica ne deriverà che a occuparsene saranno i più dotati delle capacità meno civiche.
Ripeto: non mi riferisco al duello conclusosi, con la vittoria di Trump, perché potrebbe essere che se fossero andati alle urne più numerosi avrebbe vinto con ancora maggiore distacco, mi riferisco alla loro e alla nostra vita futura: se non mettiamo in gara i migliori, se non ci abituiamo a riconoscerli come tali, se continueremo a votare in negativo (anche molti voti a Clinton sono arrivati contro Trump), se pretenderemo di saltare la noia di studiare e ascoltare idee un po’ meno banali, il risultato sarà un impoverimento progressivo della nostra vita collettiva.
E non conosco esempi di società la cui vita collettiva s’immiserisce e il reddito privato s’arricchisce.
Davide Giacalone, Il Giornale 10 novembre 2016