Che si tratti di politica, di affari o di altro, si finisce con il dirsi: vediamoci dopo il 4 dicembre. È diventata una gag. Dalle parti del governo hanno dovuto ammettere che è stato un errore personalizzare troppo il referendum. Ma non nel senso che molti credevano, o speravano. Non è più il giorno da cui dipende l’eventuale fine della vita politica di Matteo Renzi, è quello da cui dipende la vita dell’Italia, dell’Europa, forse del Mondo. C’era una cosa che non si sarebbe dovuta fare, che porta terribilmente male: legare il risultato referendario alla stabilità dei conti e dei debiti italiani. Lo ha fatto. E questo è un tema sul quale il presidente della Repubblica potrebbe avere qualche cosa da dire.
Oramai il governo è la sede in cui si usano i toni e il cipiglio degli antieuropeisti (cosa si sarebbe detto, cosa avrei detto, se una roba simile l’avesse fatta un governo di destra?). Non si è capaci di presentare conti in regola e si spera di mascherarlo montando la polemica su quelli dell’Unione europea. Come se l’Ue, nel suo insieme, non assorba che l’1% del pil collettivo, mentre negli Usa è il 25. Menano confusione su sicurezza e immigrati, ma l’Ue è soprattutto regole. Quello si deve volere, su quello qui si sono fatte proposte specifiche e realistiche.
Si vogliono contestare i soldi? Sarà facile rispondere che quelli che l’Italia ha avuto sono finiti, in buona parte, a lestofanti e profittatori. Ma al presidente del Consiglio non importa nulla, a lui serve ciucciare il consenso dell’antieuropeismo. Rimuovendo bandiere e facendo la bandieruola. Dall’incontro di Ventotene, dal riconoscimento che la Germania accoglie più profughi, al frignare demagogico. Ci vuole faccia. La sua.
C’era una cosa che non si sarebbe dovuta fare, che porta terribilmente male: legare il risultato referendario alla stabilità dei conti e dei debiti italiani
Vuole fare l’anti-casta vestendo i panni dell’emiro. Vuole cavalcare l’antipolitica, ma incarnando il più puro dei professionisti della politica. Un ortottero a Palazzo Chigi, con la pretesa di frinire per allontanare i grilli. Un sovranista pur di supporsi sovrano. Ci vuole stoffa, per vestire tante figure. Ma è tessuto trasformista. L’arte di chi occupa la ribalta per non essere ribaltato. Peccato, avrebbe potuto usare diversamente l’indubbio talento, ma i talenti li ha dilapidati scientemente, puntando al vitello grasso.
La diga della Banca centrale europea comincia a perdere, mentre gli argini italiani mostrano crepe. Lo spread che sale, che si divarica sempre di più da quello spagnolo, è solo un sintomo. Il male è il debito che cresce, le elargizioni pubbliche che non fanno ripartire i consumi, mentre gli italiani aumentano i risparmi (segno di sfiducia e paura), l’assistenzialismo improduttivo della Repubblica dei bonus, una crescita indotta da fuori e per quello inchiodata alla metà della crescita europea.
Per sfangarla alla giornata si punta sulla debolezza delle istituzioni europee, come se quella debolezza non accentuasse i pericoli che corriamo. Per galvanizzare le tifoserie si punta sul cinismo elettorale, come se la democrazia consistesse solo nel conquistare le urne e non anche nel sapere e potere poi governare, per evitare a tutti l’urna meno giuliva.
Rimandiamo tutto a dopo il 4 dicembre, ma mettiamoci in testa una cosa: se prevale questo genere di continuità interna si esaurirà la tolleranza esterna. E noi dipendiamo dal nostro mostruoso debito. Che sentiremo, a quel punto, la denuncia della speculazione finanziaria? La difesa dell’onore patrio contro i centri occulti del potere mondiale? Risponderemo tronfi con l’autarchia? Solo un virtuoso del saltafosso può così velocemente zompare dal politicamente corretto obamiano al trumpista carretto del vincitore.
Davide Giacalone, Il Giornale 18 novemnre 2016