Era il 4 agosto 1983, primo governo Craxi, esecutivo che durò 1093 giorni e che terminò il primo agosto 1986. Perché le date sono importanti? Perché il decreto sulla scala mobile, il 14 febbraio 1984, si colloca proprio all’interno del primo governo a guida socialista. Sono andato a guardare attraverso Google per controllare i ricordi: Spadolini era alla Difesa, Visentini alle Finanze, Goria al Tesoro, Andreotti agli Esteri, Renato Altissimo all’Industria e Gianni De Michelis era al Ministero del Lavoro. Il passato si fa nitido, presente come certe immagini dell’infanzia: ero in vacanza in quei giorni a Malta, fui chiamato al telefono e Gianni De Michelis mi disse «Vieni, torna, anzi, scrivimi subito un po’ di programma». E il tema era secondo lui decisivo, una sorta di pietra d’angolo per l’idea di Italia che avevamo noi socialisti, e pietra d’inciampo per i comunisti: il tema insomma era quello della politica dei redditi, che era certo un argomento sin da allora dibattuto non solo accademicamente, ma era un tema di valenza, in quei tempi, cruciale e soprattutto divisiva.
La politica dei redditi in quegli anni veniva malamente e banalmente interpretata come politica di controllo e blocco dei salari, ai fini di disinflazione. L’intuizione alla quale io lavoravo il mio punto di riferimento teorico era Niklas Kaldor era di far diventare la politica dei redditi politica di sviluppo (quale distribuzione ottimale dei redditi per massimizzare la crescita) e non semplicemente politica di controllo dei salari. De Michelis aveva perfettamente compreso la novità di questa prospettiva. Intanto la realtà, insistentemente, ci provocava: dinamica dei prezzi a due cifre, crisi petrolifera, instabilità politica, terrorismo, anni di piombo, scorte… (…)
Eppure l’interpretazione che con Gianni abbiamo dato a quella stagione è stata proprio questa: non solo freezing (congelamento), blocco relativo dei salari e blocco (sempre relativo) dei prezzi, come facevano malamente e con esiti fallimentari su tutta la linea in altre parti di Europa. Quello che cercammo fu un accordo complessivo di politica dello sviluppo: come fare più crescita, più occupazione e meno inflazione. Più massa salariale, più salario reale. Dalla parte dei lavoratori. (…)
Arrivò dunque il 14 febbraio, ma nessuno aveva pensato che il cronoprogramma dell’accordo avrebbe avuto la sua scadenza proprio il giorno di San Valentino. (…) Mi ricorderò sempre la redazione di questo accordo (alla base del decreto), un documentone alto una spanna. A Palazzo Chigi non c’erano ancora i computer, si andava di piano in piano, chi scriveva le prime dieci, le seconde dieci, le terze dieci, le quarte dieci pagine, su e giù per controllare e poi mettere tutto insieme, perché poi bisognava mandare per motociclista il testo concordato a tutte le parti sociali, (datori di lavoro e lavoratori) per la firma. Ci fu consenso, tranne la Cgil comunista. Inizialmente furono bloccati nel decreto originario tutti e quattro i trimestri a 2 punti (non più di 2 scatti per trimestre era la dicitura esatta); poi bastò come detto bloccarne semplicemente due di trimestri, nelle reiterazioni del decreto, poiché la manovra d’anticipo aveva in sé la capacità di raffreddare i trimestri successivi (il terzo e il quarto, che non avrebbero avuto bisogno di blocco perché l’inflazione da salari veniva già ridotta). Fu un grande risultato che cambiò la storia di questo nostro Paese. Insomma, la predeterminazione di Modigliani e di Tarantelli funzionò. Mai teoria ricevette così palese e piena applicazione di successo, smontando nei fatti la propaganda degli avversari.
Si andò al referendum abrogativo voluto dal PCI, e qui il finale: spiegare ai lavoratori e chiedere il loro voto, parlando loro di illusione monetaria, quasi una follia. Non è stata cosa facile, né per un giovane professore come il sottoscritto, né per i ben più attrezzati di lui uomini del sindacato non comunista che si batterono nelle fabbriche e nelle piazze.
Il risultato fu 54,3% a 45,7%, un risultato straordinario, antipopulista ante litteram. Il quesito di fatto era: «Volete o non volete 400.000 lire in busta paga tutte e subito?» Il 54,3% del popolo italiano andò a votare il 77,9% degli aventi diritto disse di no, che non voleva circa 380-400.000 lire, per un miracolo di saggezza e maturità. Perché probabilmente aveva capito, non tanto l’illusione monetaria del giovane professor Brunetta, ma il senso di quella manovra e di quella strategia antipopulista, controcorrente, contropelo, che allora percosse il Partito comunista e il sindacato comunista, mentre tutte le altre forze politiche e sociali stavano dalla parte della ragione. Il nemico dei salari era l’inflazione a due cifre. E la scala mobile, con l’inflazione a due cifre, da cosa buona diventava cosa cattiva. I lavoratori e gli italiani lo capirono bene. Ecco, questo è il ricordo che ho io e, devo dire, è il ricordo di un Gianni che vedeva più lontano di tutti noi. Come ho detto anche prima, approfittando pure di qualche contributo tecnico-accademico che qualcuno gli portava, alla fine riusciva nell’impossibile. Da una parte sola, dalla parte dei lavoratori, come avrebbe detto Giacomo Brodolini, suo predecessore al Ministero del Lavoro, e padre dello Statuto dei lavoratori, socialista come noi. Su questo accordo fu determinante alla fine Bettino Craxi che, nella riunione del Consiglio dei ministri del 13 febbraio cercò l’alleanza con Visentini, che fece di buon grado lo scambio sulla parte fiscale, equo canone e altro. Perché il senso dell’accordo stava in uno scambio fiscale e non di compensazione di quelle 400.000 lire virtuali in meno con una serie di vantaggi per i lavoratori per «compensare» concretamente (blocco dell’equo canone, soprattutto) la populista illusione monetaria, cavalcata dal PCI e dalla CGIL comunista. Visentini capì, Spadolini no. La situazione si stava mettendo male e Spadolini pensando che l’accordo non si sarebbe fatto, uscì dal Consiglio dei ministri per andare a telefonare a «la Repubblica», dando il titolo di prima pagina, Accordo fallito. Solo che mentre lui usciva per telefonare a Scalfari, Craxi chiudeva finalmente con Bruno Visentini, e d’accordo con Gianni De Michelis, si passò al punto seguente dell’ordine del giorno di quel Consiglio dei ministri notturno. Tornò Spadolini, capì che il punto in discussione non c’era più, ma si era il punto successivo. Si fece spiegare, «no, guarda, l’accordo è passato» gli disse De Michelis, e lui «oddio!».
Ritornò fuori per dare il contrordine a «la Repubblica», a Scalfari. Almeno questo fu il racconto che mi fece Gianni di quel Consiglio dei ministri per tanti versi drammatico ma anche salvifico. E a pranzo dal «Bolognese», il giorno dopo, ancora morti di sonno e di fatica, ci ridemmo affettuosamente su, con lessi misti e uno straordinario Sassicaia. Ecco, questo è il ricordo di chi aveva vissuto quella stagione straordinaria, con uomini straordinari. Poi la scala mobile fu cambiata, fu cancellata, e la storia ci portò ad altre prove terribili. Però quella rimane nella mia vita come forse la stagione più importante, vissuta assieme a tanti ragazzi, a tanti giovani che adesso giovani non sono più e fu una delle storie più belle che spesso ricordo. E mi piace pensare che il capitano preveggente di quella avventura, il nostro Gianni, sarebbe contento di essere ritratto nel vivo di quella battaglia, avendo accanto il suo Renato. L’inflazione fu domata, i salari reali difesi, il Partito comunista battuto. L’Italia era momentaneamente salva, ma sempre in un mare di guai.