Il circolo, con sedi e attività di approfondimento e studio, intitolato a Carlo e Nello Rosselli, coordinato da Valdo Spini; il presidente dell’Istituto Luigi Sturzo Nicola Antonetti; Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Luigi Einaudi; Franco Ippolito, presidente della Fondazione che custodisce l’immenso patrimonio culturale lasciato da Lelio e Lisli Basso; Silvio Pons, presidente della Fondazione intitolata ad Antonio Gramsci: si tratta di istituti di altissimo livello culturale, che pur non disponendo dei mezzi e dei finanziamenti di analoghe e prestigiose istituzioni anglo-sassoni, assicurano una preziosa opera di conservazione, raccolta e messa a disposizione di “materiali” e strumenti culturali e storici, di cui tutti possono beneficiare e utilizzare. Queste prestigiose istituzioni le troviamo in calce a un appello che conviene riportare integralmente: “L’attività di “Radio Radicale” è stata ed è uno dei valori della nostra vita repubblicana e democratica. Nata e legata alla storia di un partito politico è strumento per la vita anche degli altri, come di identità culturali e politiche altrimenti escluse dall’accesso alla comunicazione di massa. È fonte d’informazione per chi segue la vita istituzionale e non solo politica. È il solo orecchio che consente ai cittadini di entrare dentro le aule giudiziarie come dentro al Parlamento. Senza “Radio Radicale” la vita democratica e civile sarebbe più povera: l’ultima delle cose di cui ha ora bisogno il Paese. Non si tratta di un appello o di un problema di parte, ma di un bene di/e per tutti. Quella voce è la voce di tutti. Non deve tacere”.
Per la qualità dei firmatari, per il contenuto dell’appello, è un testo che ogni organo che voglia davvero corrispondere al ruolo di informazione e conoscenza, dovrebbe pubblicare con evidenza e rilievo; corredandolo la pubblicazione con esauriente spiegazione di quello che è accaduto, e accade. Niente, invece; assoluta, pressoché totale disinteresse. In queste ore si assiste a una straordinaria mobilitazione di intellettuali e artisti; esponenti di quella che con brutta espressione si suol chiamare “società civile”; “semplici” cittadini che non sanno capacitarsi del fatto che il Governo abbia davvero deciso di interrompere la convenzione stipulata con la “Radio Radicale” e così impedire in un futuro molto prossimo di poter seguire in diretta, e integralmente, i lavori del Parlamento, le commissioni di Camera e Senato, i più importanti processi, le sedute integrali del Consiglio Superiore della Magistratura, i congressi e le assemblee di partiti e movimenti, i più importanti e significativi eventi politici e culturali. Ecco: tutto ciò, tra qualche settimana verrà impedito, perché in nome di uno stolido risparmio di poche centinaia di migliaia di euro, si nega alla storica emittente radicale di poter continuare a fare quel vero e proprio “servizio pubblico” che pienamente corrisponde al precetto di Luigi Einaudi: “Conoscere per poter deliberare”.
Anche da parte del mondo politico, sia pure timidamente, si sono levate voci di solidarietà e di grato riconoscimento per il “servizio” reso; e la preoccupazione per la deliberata e dolosa, pervicace volontà di soffocare una emittente che dà spazio a tutte le voci, non discrimina e consente a tutti di potersi formare un’opinione sul “documento” integrale. Di fronte a questa mobilitazione, sconcerta il silenzio, altrettanto pervicace e tetragono, delle due forze politiche che sorreggono l’attuale Governo. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è abbandonato per un attimo a una sesquipedale corbelleria: “Non c’è alcun intento punitivo, vogliamo sollecitare le imprese sul mercato a stare sul mercato. Non è un attentato alla libertà dell’informazione, c’è il massimo rispetto per la libertà di stampa da parte di questo governo, sono valori sacrosanti, lo scambio dialettico e vivace non può essere un attentato. Siete stimolati a trovare delle risorse alternative”. Dopodiché, silenzio. Silenzio da parte della Lega di Matteo Salvini; silenzio da parte del Movimento 5 Stelle di Davide Casaleggio e Luigi Di Maio. Silenzio eloquente, si può ben dire. Silenzio che chiarisce in modo inequivocabile quello che l’attuale governo ha intenzione di fare: impedire la conoscenza. Negare al cittadino la possibilità di sapere. E’ la preoccupazione principe di chi detiene il potere e non vuole rispondere dei suoi atti; di chi a parole dice di considerare il popolo composto da cittadini; nei fatti li considera e li tratta come sudditi.
Questo silenzio, questa ostile indifferenza nei confronti dei tanti che chiedono un ripensamento, un passo indietro rispetto a quel che si è fatto e si vuole fare, è in parallelo con una iniziativa festosamente annunciata dal sottosegretario con delega all’editoria Vito Crimi: “Tra pochissimo partiranno gli Stati generali dell’editoria. Cioè un modello diverso, rispetto al passato, di affrontare i problemi, guardando alla crisi dell’informazione non a compartimenti stagni ma ragionando con tutti i soggetti coinvolti, comprese le edicole, gli stampatori, le agenzie di stampa, la strana tasca delle pubblicità e molti altri”. Crimi sostiene di voler coinvolgere “tutti coloro che sono interessati a qualunque titolo nel processo dell’informazione, dall’individuazione di una notizia fino all’ascolto. Saranno previste cinque macro aree tematiche: l’informazione primaria (quindi le agenzie di stampa), il giornalista (e quindi la libertà di chi scrive, i compensi e le tutele, il sistema professionale, la deontologia), l’editore (con aspetti che vanno dal pluralismo alla trasparenza sugli assetto proprietari, dal diritto d’autore alla distribuzione, ai poligrafici, i fotografi, i blogger, la rete di vendita), il mercato (spaziando dall’innovazione alla concorrenza, sino ai centri media e le agenzie della pubblicità) e infine i cittadini, con il loro diritto prioritario ad essere informati e se possibile sempre di più coinvolti”.
Il “buongiorno” lo si vede dal modo in cui si tratta da una parte “Radio Radicale”; e dall’altra nel fatto che si negano finanziamenti e sostegni a testate non allineate al pensiero lega-stellato, come “Il Manifesto” e “Avvenire”. Da sostituire, magari con clic farlocchi e veline a cura di private piattaforme telematiche che nessuno controlla? Grazie, no.
di Valter Vecellino
da jobsnews.it