I regimi politici dispotici a tendenza totalitaria, qual è la Russia di Putin, hanno paura di una sola cosa: della verità. Ecco perché quando la verità è andata in onda in prima serata, con il coraggio e la testimonianza di Marina Ovsyannikova — giornalista, semplicemente giornalista, come Indro Montanelli diceva di sé — la polizia di regime non ha potuto fare altro che arrestarla. Ma se è possibile incarcerare la Ovsyannikova, è impossibile imprigionare la verità. Se è possibile uccidere Anna Politkovskaja, è irrealizzabile l’assassinio della verità. Se è possibile far fuori Alexei Navalny, non si può eliminare la verità. Certo, la si può manipolare, contraffare, mascherare ma non la si può eliminare. La verità ci sta sempre. E proprio perché c’è la si cela. Il dispotismo è distopico.
Ma il caso della giornalista russa che ha esposto un cartello durante il telegiornale testimonia che la verità è insopprimibile. Come la coscienza. Per quanto un regime politico la schiacci e la tenga a bada con la propaganda, creando una verità falsa parallela, la verità riemerge sempre. Perché la verità non dipende né dalle volontà né dalla potenza e, al contrario, le volontà umane e le potenze statali alla fine devono per forza di cose fare i conti con la verità. L’autoinganno, infatti, è pericoloso e insostenibile. La verità è il prezzo che si deve pagare per conquistare la libertà.
Lo sanno bene sia a Kiev sia a Mosca. Gli ucraini sanno che non possono fare altro che resistere, altrimenti pagheranno con la sottomissione del passato. I russi sanno che la disponibilità alla menzogna li conduce al disastro. Il regime comunista non è caduto proprio perché ha negato a sé stesso perfino la verità sul reattore numero 4 della centrale nucleare di Cernobyl? La verità compressa esplode. Ieri, oggi, domani. Anche in prima serata prendendo il posto della menzogna di Stato: «Fermate la guerra, non credete alla propaganda, qui vi stanno mentendo».