Vade retro voucher. Vieni avanti decretino. C’è un esercito di disoccupati, la crescita resta inchiodata alla metà della media europea, ma il dibattito si anima attorno ai voucher, rei di avere troppo funzionato. Chi se ne importa delle 800 mila persone in qualche modo uscite dal nero (dove si stima restino 3 milioni di lavoratori), e chi se ne importa se quel modo di pagare i lavori saltuari non arriva a coprire l’1% del mercato, ciò che conta è che se ne vendono troppi. Uno sragionare figlio della quotidiana guerra civile a sinistra.
Il boom dei voucher dimostra che famiglie e piccole imprese sono piene di satanici sfruttatori e sadici affamatori? Lo sostiene la Cgil, che poi usa i voucher per pagare chi lavora al sindacato. Ma no, dimostra solo che ci sarebbe maggiore offerta di lavoro, se solo non si costringesse ogni datore a pagare anche il commercialista e il consulente.
Una piccola semplificazione incontra i bisogni di tanti e subito parte la gara alla complicazione. Che colpirà solo le persone oneste, perché i disonesti in nero erano e in nero sono rimasti. Invece di cogliere il segnale, piccolo ma netto, e capire che semplificando e alleggerendo si offrirà e prenderà più lavoro, si fa l’opposto, timorosi di perdere il proprio, quello dell’apparato burosindacalpolitico, che regola e impone per proteggersi e imporsi.
La Cgil, sul tema (come su quello che è e resterà sconosciuto ai più, relativo a responsabilità contrattuali nel settore dei sub appalti), ha raccolto le firme e promosso un referendum? Lo si faccia. Chi la pensa come loro si batterà per l’abrogazione di quel che funziona. Noi no. Non si deve avere paura di spiegare le ragioni delle proprie idee, si deve spaventarsi (e vergognarsi) per quelle confuse e prive di ragione.
Il governo, invece, corre appresso ai voucher (introdotti dalla legge Biagi, allora avversata da quanti ora la invocano, poi ampliati prima dal governo Monti, poi da quello Letta), per depotenziarli. E lo fa per una sola ragione: evitare il referendum. Non solo è sbagliato nel merito, ma rischia di essere inutile. Ammesso si faccia subito un decreto legge e ammesso che quel testo sarà sufficiente a cancellare il referendum, non potrà essere portato in cassazione prima della conversione. Saremo già a metà maggio.
Quando pensano di fissarla, la data del referendum? Sul punto la Costituzione è chiara. Ammesso qualcuno ancora la legga, non essendo riusciti a riscriverla.[spacer height=”20px”]
Davide Giacalone, Il Giornale 12 marzo 2017