Sean Parker, cofondatore e primo presidente di Facebook: “Solo Dio sa i danni che i social network hanno arrecato alla mente dei nostri figli”. Tim Kendall, ex direttore della monetizzazione di Facebook: “I nostri servizi stanno uccidendo le persone e le stanno spingendo a suicidarsi”. Tristan Harris, ex dirigente di Goggle: “Abbiamo creato un Frankestein digitale incontrollabile che sta erodendo la mente dei più giovani”. La lista dei “pentiti del Web” è lunga, l’assunto comune: l’uso, che il più delle volte si trasforma in abuso, di social e videogiochi sta minando le capacità mentali dei più giovani e, come ha sostenuto il rapporto World Happines presentato nel 2019 alle Nazioni Unite, li sta privando del diritto alla spensieratezza. Uno degli estensori del rapporto, l’economista della Columbia University Jeffrey Sachs, l’ha messa così: “Dall’introduzione del primo iPhone in poi, abbiamo avuto un deterioramento misurabile nella felicità, soprattutto tra i giovani. Crescono le manifestazioni di ansia, stress, perdita di sonno, depressione. Peggiorano le interazioni sociali. Non è solo un problema giovanile, ma per quelle generazioni il tempo passato sugli schermi degli smartphone sta sostituendo il tempo di vita. Si può essere dipendenti da sostanze, ma c’è anche una dipendenza comportamentale le cui conseguenze sono altrettanto distruttive”. I dati sul malessere giovanile e quelli sulla sistematica perdita di facoltà mentali degli adolescenti confermano tali opinioni.
Alle stesse evidenze giunse l’indagine conoscitiva che promossi in commissione Istruzione del Senato nel 2019, i cui atti ho poi raccolto nel volume “CocaWeb, una generazione da salvare”. Il lavoro parlamentare si concluse con una relazione molto dura che, cosa piuttosto rara, fu approvata all’unanimità. Fu il segno di un’evidenza che non si prestava ad interpretazioni né a distinguo politici. In effetti, i neurologi, gli psicologi, i pedagogisti, i grafologi, i linguisti, gli insegnanti e gli addetti delle forze dell’ordine che ascoltammo tracciarono, ciascuno dal proprio punto di vista professionale e sulla base di dati oggettivi, un quadro agghiacciante. Quasi tutti gli esperti auditi si dichiararono favorevoli all’introduzione un divieto di utilizzo degli smartphone per i minori di 13, 14 anni. Presentai, allora, un disegno di legge in tal senso che naturalmente rimase lettera morta.
È di ieri la notizia che la Repubblica di San Marino ha disposto il divieto di vendita e utilizzo degli smartphone per i minori di 11 anni. Dalla Francia al Regno Unito molti parlamenti si stanno ponendo il problema e stanno dibattendo su norme del genere.
I divieti non sono mai una bella cosa, e questo sarebbe pure di difficile applicazione, Ma quando si tratta di minori i divieti sono spesso giustificati. L’educazione è fondamentale, certo, ma con bambini e adolescenti non sempre la riteniamo sufficiente. Nessun genitore si stupisce del fatto che la legge vieti ai minori di una certa età di bere alcolici, di fumare sigarette, di guidare la macchina, di viaggiare da soli; non tutti i genitori hanno capito che il danno subito dai propri figli a causa dell’esposizione esorbitante a social e videogiochi è di gran lunga superiore al rischio a cui li esporrebbero le pratiche suddette. Nessun genitore lascerebbe il proprio figlio di 10-12 anni girare da solo per strada la notte; quasi tutti i genitori lasciano che di notte i propri figli percorrano da soli le vie virtuali, non meno insidiose di quelle reali, del Web.
I divieti non sono mai una bella cosa, ma, come ha dimostrato un’inchiesta pubblicata nel 2011 dal New York Times, divieti assoluti di utilizzo di smartphone e videogiochi vengono imposti dalla maggior parte dei top manager dei Giganti del Web ai propri figli in famiglia. Chiediamoci perché, e cominciamo quantomeno a ragionare sul tema senza preconcetti né conformismi.