Nel voto tedesco vedo cose ben diverse da quelle che tutti gli altri commentano. Il lettore è avvisato, quindi. Ma a me la storia del crollo e della vittoria-sconfitta non mi convince.
1. Per la terza volta consecutiva il governo uscente vince le elezioni. Da noi non accade da venticinque anni! Cristianodemocratici e socialdemocratici raccolgono la maggioranza assoluta dei voti e degli eletti. Noi ce lo sogniamo.
Il fatto che i socialdemocratici non intendano più prendere parte a un governo guidato da Angela Merkel è una decisione politica. Vedremo quanto saggia e quanto non modificabile.
2. I cristianodemocratici prendono il 33% dei voti. Per avviare il primo governo Merkel ne presero il 35, nel 2005. Ottennero il 33.8 per la seconda legislatura, nel 2009. Quindi siamo in linea. La diminuzione è netta solo rispetto al trionfo del 2013, quando raggiunsero il 41.5%.
Quella era l’eccezione, non la regola. Perdono significativamente i socialdemocratici, ma questo capita a quanti si coalizzano con partiti più forti e poi non riescono a caratterizzarsi durante gli anni di governo.
[spacer height=”20px”] 3. Dalla fine degli anni ’50 i governi tedeschi sono stati tutti di coalizione. Ove giungessero a un governo fra cristianodemocratici, liberaldemocratici e verdi la novità consisterebbe nel fatto che la coalizione sarebbe a tre. Cosa rilevante, ma sul fronte relativo alla tenuta e alla coerenza.
Fin qui le coalizioni tenevano, tutta la legislatura, perché nessuno prendeva su di sé la responsabilità di venire meno alla parola data (gran differenza, rispetto all’Italia), si vedrà se la competizione fra i due alleati minori porterà al venire meno di questo (positivo) costume politico.
4. Il governo più forte è stabile d’Europa, ancora una volta, nascerà da un negoziato successivo alle elezioni politiche. Il che serva da lezione ai nostri cultori dell’urnocrazia, officianti del rito secondo cui la sera delle elezioni si dovrebbe sempre sapere chi governerà. Tali chierici dell’oscuro culto, del resto, sono i medesimi che fanno cadere i governi dei quali fanno parte.
5. L’affermazione di Afd, una componente che non definirei “nazista”, risultante di un presunto orgoglio germanico, frullatore nel quale furono gettati luoghi comuni di destra e di sinistra, è imponente.
Ma cosa dice? Che il nazionalismo post nazionale, il rifugiarsi entro inesistenti mura nazionali, il provare a chiudere il mondo fuori dalla propria casa, non s’alimenta di crisi economica e disagio sociale, che, in questo caso, non avrebbe morso in un Paese che è sempre cresciuto e non ha praticamente disoccupazione.
S’alimenta di paura, nata da una nostra vittoria. In giro per l’Europa i tedeschi sono visti come dominatori, quell’elettorato si sente sopraffatto. Non ha senso, o, meglio, ha un altro senso: i vincitori hanno paura della loro vittoria, del mondo aperto, del commercio al posto delle armi, perché sentono minacciata la propria sicurezza e identità.
A questo s’aggiunga la risorgente ignoranza, la perdita di memoria, il conseguente ritorno di miti lontani, che non sono le svastiche, ma lo spirito del tempo, del sangue, dei popoli, l’oblio che questi ingredienti non fecero grande la Germania (o l’Europa), ma la distrussero, ed ecco servita la polpetta avvelenata.
L’antidoto non sono i bonus o le gnagnere antiglobaliste, ma il coraggio di affermare e ricordare le ragioni di una vittoria che ci ha portato, tutti, a essere il posto più ricco, più sano, più longevo e più libero del mondo.
6. Dopo questo voto si parlerà molto di sicurezza e immigrazione, ma cambierà poco. Perché già oggi le intelligence dovrebbero collaborare e già oggi i clandestini dovrebbero essere tenuti fuori dalle frontiere comuni (mentre l’immigrazione regolare è e resterà essenziale alla macchina produttiva tedesca).
Non sarà in discussione il cosa, semmai il come.
Diverso, invece, sul fronte economico, perché lì cambierà il cosa: il tempo della politica monetaria espansiva s’avvia a terminare (non sarà immediato, ma così sarà), senza lasciare in dono mutualizzazioni dei rischi, perché su quel fronte il vento gira. E quando soffierà gelido potrà valutarsi, dalle nostre parti, quanto sia stato dissennato buttare via il tempo della bonaccia, assicurata dalla Banca centrale europea alla presidenza italiana.
Davide Giacalone, 25 settembre 2017