Finalmente sta per spuntare una buona tassa, dopo le tante cattive o pessime. Germania, Francia, Italia e Spagna, nella riunione dei ministri finanziari europei di Tallin, si sono accordati per la creazione una web tax che colpisca con aliquota forfettaria, basata sul fatturato, i profitti che i giganti della rete fanno, con vendite di beni e servizi nei vari stati dell’Unione.
Queste grandi imprese multinazionali ora se la cavano facendo affluire i loro guadagni a Stati – europei ed extra europei – a fiscalità privilegiata minima ove hanno ubicato la sede (formale) della casa madre.
La nuova web tax si baserà sul principio che i profitti vanno tassati ove effettivamente si fanno, mediante le vendite e gli altri affari in Internet, con clienti che si trovano sul territorio dello Stato in cui opera quella rete fissa o mobile.
Dal punto di vista tributario le grandi imprese transnazionali che concludono affari tramite il web avranno così uno stabilimento ideale (ma non per questo irreale) tassabile nell’area in cui si addensa la clientela, con cui intrecciano i loro rapporti di comunicazione immateriale tramite telefoni, fax, computer.
Questa è una buona tassa, per almeno cinque ragioni.
1) Innanzitutto, perché dà al nostro paese un gettito fiscale che però non è a carico dei contribuenti italiani, già tartassati, ma deriva da operatori multinazionali. I quali fanno guadagni in Italia, usufruendo della nostra rete di comunicazione, delle spese pubbliche del nostro governo nazionale e di quelli regionali e locali, che supportano e tutelano la conclusione e il rispetto dei contratti e il trasporto della merce che essi ci vendono e la effettuazione dei servizi che danno.
2) In secondo luogo questa è una buona tassa perché pone fine almeno parzialmente alla ingiustizia e alla beffa della evasione legale sistematica da parte delle multinazionali del web, mediante il trucco della residenza fiscale di comodo; non è giusto ed è immorale che noi paghiamo e loro no, solo perché c’è una lacuna nella legge, dovuta non alla difficoltà tecnica di costruire il rimedio ma a quella politica di attuarlo; ma anche perché vi si oppongono lobby di grosso calibro e governi di paesi che con loro colludono.
3) La terza ragione per cui questa è una buona tassa è che essa toglie o riduce la concorrenza sleale che sin qui hanno fatto gli affari via web degli operatori multinazionali alle imprese operanti fanno con esercizi insediati sul nostro territorio: le quali debbono pagare imposte, tasse e contributi nazionali, regionali e locali dovuti da chi ha residenza o domicilio in un comune italiano.
4) La quarta ragione per cui la web tax è una buona tassa è che pone rimedio, almeno parziale, alla concorrenza sleale che subiscono le imprese e gli enti italiani operanti mediante la rete, che pagano le imposte sugli utili, da esse dovute per gli affari effettuati via web, mentre le multinazionali si sono avvalse di regimi di privilegio, fruendo di cospicue rendite fiscali.
Queste due ultime ragioni per cui la web tax è una buona tassa, hanno a loro merito anche la difesa del made in Italy da ingiustizie e handicap fiscali.
5) Ultima ragione in ordine di elenco, ma non di importanza: se è vero che lo sviluppo del commercio internazionale si attua sempre più con l’economia immateriale, è anche vero che ciò deve poter aver luogo tramite una concorrenza leale, non quella sleale, basata sul farlocco fiscale, che genera gigantismi artificiali.
Ci si augura che dalle buone intenzioni si passi ai fatti, superando l’opposizione degli Stati che hanno dato regimi di favore alla multinazionali del web per trarne beneficio. [spacer height=”20px”]
Francesco Forte, Il Giornale 17 settembre 2017