“Prima o poi il vaccino anti-Covid arriverà, qualche azienda lo immetterà sul mercato, ma ci sono dei criteri da rispettare: deve essere sicuro, efficace e proponibile a tutta la popolazione e non solo a una fetta ristretta e insufficiente, altrimenti è inutile. Dunque chi ne sa più di me pensa che ci voglia ancora molto tempo per questo, e che probabilmente potrebbe essere utile e utilizzabile su larga scala solo nel prossimo autunno”. Così Alberto Zangrillo, primario di anestesia e rianimazione dell’ospedale San Raffaele di Milano e prorettore dell’università Vita-Salute, ospite de #ilcafFLEdelmercoledi, in onda sui canali social della Fondazione Luigi Einaudi.
“Poi per questioni elettorali, come quelle d’oltreoceano qualcuno dice di avere il vaccino in tasca prima del 3 novembre…ma questa è un’altra storia”, ironizza.
Secondo Zangrillo “la preparazione a un fenomeno pandemico necessita di due cose fondamentali: una è la nostra capacità di organizzarci dal punto di vista culturale e delle conoscenze per saper dare risposte, l’altra è quella fondamentale di avere un sistema sanitario strutturato, e il nostro servizio sanitario non lo è”. Poi sostiene la necessità di “intraprendere al più presto un piano strategico strutturato, finanziato, pluriennale, per dare risposte progressive a tutte le nostre lacune”.
L’impreparazione del nostro servizio sanitario, sottolinea, “non è colpa di questo governo o del precedente, ma della storia della politica italiana degli ultimi 30-40 anni in cui abbiamo sempre cercato di dare sostegno economico a iniziative che poi non riuscivamo a controllare nel loro sviluppo. Per questo si è creato sempre di più un distanziamento di offerta sanitaria: è inutile negare che quella del Nord sia diversa dal Sud”.
E nell’emergenza Covid “non siamo preparati – argomenta – perché manca soprattutto la strutturazione del sistema sanitario territoriale. Quando la gente arriva in ospedale è perché non trova risposte nelle tappe precedenti”. “Ma mettere a livello ottimale il sistema richiede anni, e un’estate non basta”.
E sui tamponi: “Farsi un tampone a casaccio ‘per stare tranquillo o ‘perché ho qualche linea di febbre’ non ha senso. Il tampone serve per tracciare, serve per delle evidenze utili a isolari cluster, nuclei sociali o familiari”.
“Io sono testimone – riferisce Zangrillo – di centinaia di persone che dopo essere risultate negative al tampone, dopo un paio d’ore o di giorni non erano più nella stessa condizione e nel frattempo non si erano comportate con giudizio, allentando le misure di tutela verso se stessi e gli altri. Quindi come sempre, il mio è un richiamo al buon senso e a un buon utilizzo delle risorse sanitarie quando queste vengono a mancare e quando soprattutto esponiamo al rischio di non poterne usufruire coloro che davvero ne hanno bisogno”.